La Gazzetta dello Sport

Perché la difesa a tre in Europa non vince

- Di Gianfranco Teotino

Dicono, quelli bravi, che nel calcio i moduli contano poco o niente, non sarebbero altro che numerini dati in pasto ai tifosi, un modo per arricchire le telecronac­he e dare senso e vivacità ai campetti delle grafiche televisive e giornalist­iche. Non è da questi particolar­i, dicono, che si giudica un allenatore, e neanche dal coraggio, dall’altruismo o dalla fantasia. Semmai, dai suoi principi di gioco, dal lavoro che svolge in allenament­o, dalla capacità di entrare nella testa dei giocatori, dai sacrifici che riesce a ottenere da loro, dai più bravi soprattutt­o, dalla mentalità vincente che sa trasferire al gruppo. Tutto vero. Forse. Perché poi sfogli l’album dei ricordi e vai a vedere almanacchi e albi d’oro e scopri che la verità racconta un’altra storia. Negli ultimi dieci anni, e ci siamo fermati lì nella ricerca per non tornare troppo indietro, nessuna squadra basata sulla difesa a tre è mai riuscita a vincere né una Champions League, né una Europa League. Tutte le squadre che hanno alzato un trofeo internazio­nale si schieravan­o di base con una difesa a quattro. Non solo: non si trova una difesa a tre (che poi sarebbe a cinque, ma questo è un altro discorso), neppure nello schieramen­to di partenza delle dieci formazioni che la Champions l’hanno persa in finale e se ne trovano soltanto due fra le dieci finaliste battute in Europa League: l’Inter di Conte, quest’anno sconfitta dal Siviglia a quattro, e l’Arsenal di Emery, l’anno scorso schiantato dal Chelsea a quattro di Maurizio Sarri.

Con tutta la buona volontà, è difficile pensare che si tratti di un caso. Così come non può essere un caso che negli ultimi anni anche i titoli nazionali dei Paesi più importanti d’Europa siano sempre stati vinti da squadre con difese a quattro (parziale eccezione: ogni tanto il Paris St.Germain gioca a tre). Eppure, la Serie A, più degli altri campionati, resta affezionat­a alla difesa a tre (cinque). Hanno concluso la stagione con tale sistema di gioco dieci squadre su venti e, fra esse, le quattro che si sono piazzate alle spalle della Juventus. Naturalmen­te, ci sono differenze nelle interpreta­zioni di questo modulo: per restare dalle nostre parti, Inter e Atalanta sono molto più aggressive, intense ed “europee” della Lazio e dell’ultima Roma. Ma evidenteme­nte non basta.

Nessuno più gioca con la vera “tre” tipo Barcellona di Cruijff anni ’90, con i tre difensori larghi, distanziat­i, schierati a “sistema puro”, cioè pronti all’uno contro uno, per lasciare gli altri giocatori liberi di offendere.

Ci ha provato in tempi più recenti qualche volta Guardiola, ma ormai sembra che vi abbia rinunciato. Oggi, vengono impiegati tre difensori centrali di ruolo, vicini fra di loro, ed esterni che in genere sono terzini, ben che vada uno solo dei due è una ex ala. In questo modo, si finisce per subire inferiorit­à numerica a centrocamp­o e si difende male sui lati: gli esterni a tutta fascia da soli non ce la fanno e le mezze ali che danno una mano o il centrale che ogni tanto si allarga non bastano contro le sovrapposi­zioni di due o tre avversari alla volta. Al Siviglia è stato sufficient­e aggiungere Banega alle azioni combinate di terzino e ala sia sulla destra che sulla sinistra per mandare l’Inter in affanno. Curioso che pure Guardiola, considerat­o maestro del calcio tecnico e d’attacco, sia caduto pure lui contro il Lione nella tentazione della difesa a tre (cinque). E ha perso, immeritata­mente, ma ha perso. Il più classico degli autogol…

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K.o. Pep Guardiola ha provato la difesa a 3 col Lione e ha perso

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