L’Nba riparte con rabbia E Trump va all’attacco
L’NBA RIPARTE LA PROTESTA NON SI FERMA TRUMP: «BASTA FARE POLITICA»
Il boicottaggio è finito. La protesta no. I giocatori Nba hanno deciso di riprendere domani i playoff interrotti mercoledì da una storica decisione che ritarderà di tre giorni la postseason. Ma non farà saltare la stagione, a rischio per qualche ora dopo la scelta di Milwaukee mercoledì di non scendere in campo contro Orlando per rilanciare la protesta sociale e il concitato incontro dei giocatori, in cui Lakers e Clippers hanno votato contro la ripartenza. Troppo importante la piattaforma che la bolla di Disney World offre ai giocatori, megafono ulteriormente amplificato dalla storica decisione di non giocare lanciando una protesta a cui si è immediatamente accodata la stragrande maggioranza dello sport americano.
L’attacco di Trump
Una protesta arrivata fino alla Casa Bianca, al “nemico” Trump, che in conferenza stampa ha attaccato pesantemente l’Nba e i suoi giocatori, solo qualche ora dopo che il genero (e consigliere) Jared Kushner aveva detto che gli atleti sono «privilegiati» perché possono permettersi di non lavorare al contrario della maggioranza degli americani. «Non so niente della protesta Nba - ha detto il Presidente -, so solo che i loro indici di ascolto vanno molto male perché la gente è un po’ stanca di loro. Sono diventati
Sì dei giocatori alla ripresa da domani: il boicottaggio fa rinviare tre giorni di playoff. LeBron: «Servono azioni per il cambiamento»
un’organizzazione politica, e non è una cosa buona. Né per lo sport né per il Paese».
Si riparte
Non sarà Trump a fermare i giocatori. Hanno detto sì alla ripartenza a patto di portare la protesta a un livello più alto. «Il cambiamento non avviene con le parole. Servono le azioni, e servono subito - ha scritto LeBron James su Twitter dopo che da un incontro tra giocatori, durato meno di un’ora, era arrivato il sì alla ripresa -. Dobbiamo essere noi a fare la differenza. Insieme». La stagione è stata a rischio, nonostante i giocatori sapessero che se avessero deciso di far saltare tutto avrebbero perso 900 milioni di euro in mancati stipendi 2019-20 e sarebbero probabilmente andati incontro alla serrata dei proprietari che fino al 15 ottobre possono uscire dal contratto collettivo che la pandemia ha messo a dura prova. Insomma, avrebbero rischiato di compromettere l’economia della lega per i prossimi anni. Il fattore economico però per molti era
secondario rispetto al valore della protesta, e all’idea di portarla avanti anche per non rendere vani i tanti sacrifici fatti entrando nella bolla: l’isolamento, le regole ferree, la lontananza per mesi dalle famiglie in un ambiente in cui conta solo il lavoro e in cui è complicato (per alcuni, come Paul George dei Clippers, troppo complicato) riuscire a pensare ad altro. «Abbiamo valutato i pro e i contro, sapendo che indipendentemente dalla scelta di giocare o meno dovevamo continuare a spingere per il cambiamento e fare la differenza nelle nostre comunità - ha spiegato Michael Carter-Williams, rappresentante sindacale di Orlando -. Non è stato facile, considerando dove siamo e quello che sta succedendo, ma pensiamo che se abbiamo chiaro quello che vogliamo possiamo ottenerlo». Anche con l’aiuto dei proprietari. Continueranno ad essere al fianco dei giocatori, scelta confermata in un incontro in cui la voce di Michael Jordan, patron di Charlotte, è stata la più ascoltata. Invitava al dialogo, a continuare a offrire ai giocatori assist per far arrivare il loro messaggio. Per gli atleti la cosa più importante, il vero motivo per cui sono nella bolla, è continuare a tenere alta l’attenzione sulla protesta sociale, sul cambiamento che ritengono necessario. «Non possiamo aspettarci che il mondo diventi perfetto in 3 o 4 giorni: serve tempo - aveva detto Jayson Tatum -. Ma noi dobbiamo continuare a chiedere il cambiamento, perché siamo persone prima che atleti e quello che sta succedendo ci colpisce».
Gli altri
Con l’Nba si era fermata anche gran parte dello sport Usa, ora pronta ripartire. Il tennis a New York ricomincerà oggi con Naomi Osaka, in campo per la semifinale dopo che la sua decisione di ritirarsi aveva spinto il Western & Southern Open a prendersi un giorno di riflessione. Stessa cosa che hanno fatto ieri Wnba, Mlb e Nhl, che mercoledì aveva invece deciso di andare avanti nonostante la protesta. Il grido lanciato dai giocatori Nba però era troppo forte per non essere ascoltato.
Il Presidente punge di nuovo: «La gente si è stufata di loro e gli indici di ascolto sono in calo. Quello che fanno non fa bene allo sport»