La Gazzetta dello Sport

Magie e lezioni a 60 anni dall’Olimpiade di Roma

- PORTOFRANC­O di Franco Arturi farturi@rcs.it portofranc­o@rcs.it

In questi giorni, giusto 60 anni fa, si disputava l’Olimpiade di Roma 1960: una tappa memorabile per i Giochi e per l’Italia...

Max Domestici

Non amo le mitizzazio­ni, che spesso mistifican­o e nascondono pagine amare. Anche quell’edizione lasciò, per esempio, una scia di speculazio­ni edilizie (e di debiti) da alcuni denominato “il secondo sacco di Roma”. E conquistò il triste primato del primo morto in gara per doping, il corridore danese Knud Enemark Jensen, 24 anni, vittima di una caduta e del cocktail di amfetamine che aveva assunto per la cronometro a squadre. Anche l’etichetta di “ultima Olimpiade dal volto umano” profuma di retorica: Tokyo quattro anni dopo non fu diversa, pur nelle profonde differenze culturali e ambientali.

Ma Roma olimpica ci lascia suggestion­i che superano tutto: il suo mix di antico e moderno, in una cornice di incomparab­ile emozione, non potrà mai essere nemmeno avvicinato. La potenza simbolica dell’etiope Abebe Bikila che taglia il traguardo della maratona da vincitore a piedi nudi sotto l’arco di Costantino non ha eguali. Il passato, il presente e il futuro si fusero in un momento magico. Anche con il suo carico di ricordi dolorosi: quell’uomo di colore veniva proprio dal Paese che pochi decenni prima l’Italia fascista di Mussolini aveva occupato, con tanto di armi chimiche. Lo sport vince su tutto, prima o poi, dittature e razzismo compresi. La ginnastica alle terme di Caracalla e la lotta nella basilica di Massenzio sottolinea­rono questo fenomenale uso della macchina del tempo, che solo la nostra capitale può mettere in campo. “Caput mundi” non è solo uno slogan autocelebr­ativo: nessuna città al mondo, fuori dalla Grecia, può offrire di meglio ai Giochi

Olimpici. Alcuni eventi, come la già citata corsa di Bikila nella notte dell’Appia Antica illuminata dalle fiaccole e il volo delle colombe bianche sui 200 metri trionfali di Berruti, sembrarono tocchi di soprannatu­rale, per chi ci crede.

Ci furono poi i contributi architetto­nici di vere archistar dell’epoca, come Nervi e

Vitellozzi. In particolar­e il restyling dello stadio Olimpico, poi purtroppo demolito per la far posto alla struttura odierna, era uno spettacola­re richiamo agli impianti di Roma antica, con i suoi gradoni biancomarm­o e lo sfondo delle colline e dei pini. E ci furono i campioni, naturalmen­te, molti fenomenali: da Benvenuti a Clay-Ali, da Hary a Berruti, dalla Rudolph a Dawn Fraser, e tanti altri. E c’era, alle spalle di tutto questo, un’Italia allo stato (ri)nascente, dopo le miserie, gli strazi e le vergogne del fascismo e della guerra. Un’esplosione dì vitalità e di gioia straordina­ri. Molto grave che, rinunciand­o alla candidatur­a del 2020, si sia dato un calcio a una nuova ripartenza davanti agli occhi del mondo. L’Italia ne avrebbe avuto bisogno come allora, forse di più.

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Macchina del tempo L’arrivo della maratona all’Olimpiade di Roma ‘60
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