Un lungo amore Subito scudetto poi il sacrificio per il bilancio
Zlatan Ibrahimovic arriva a Milano il 29 agosto 2010. Adriano Galliani è andato a corteggiarlo a Barcellona e sono gli ultimi fuochi del Milan berlusconiano. Perché quel Milan, come quello desiderato dal fondo Elliott, era destinato a ripartire da zero, cioè dai giovani. Invece Massimiliano Allegri, allora tecnico quarantenne con il fisico del ruolo, si ritrovò inchiodato alle sue responsabilità. Altro che ricostruzione. Arrivano Ibrahimovic e Robinho, un po’ troppo per limitarsi a un’annata da vivere in tranquillità. Zlatan arriva con Galliani, Raiola, la famiglia, il cane, un simpatico bulldog di nome Trustor. Aria truce, ma forse è soltanto un atteggiamento. E tutta la carriera di Zlatan è un po’ così, da quando da ragazzo disse a Van Basten allenatore: «Beh, sei Van Basten, fammi vedere che cosa sai fare con il pallone».
Giramondo
Juve, Inter, Barcellona, poi il ritorno in Italia con il Milan. Zlatan è l’unico calciatore che abbia vinto uno scudetto di qua e di là, perché sentiva di averlo vinto con la Juve, che poi ne fu privata per via di Calciopoli. Lo scudetto fu assegnato all’Inter, club nel quale nel frattempo aveva traslocato. Successi, baruffe, un’altra partenza. Ma in fondo nel cuore di Zlatan c’è sempre l’Italia, ed è l’Italia che lo richiama dopo l’esperienza in Catalogna. Galliani sa essere convincente, il progetto piace. Zlatan torna e già che c’è vince uno scudetto da aggiungere alla collezione. A settembre sta già segnando gol, in marzo si sta già meritando lunghe squalifiche. Zlatan è così, prendere o lasciare. E il Milan lo prende, vince lo scudetto, festeggia in maggio sul prato di Roma, si gode il Moonwalk di Prince Boateng, i gol di Pato e
Robinho, la funzione di catalizzatore di un magnifico calciatore e atleta che non è mai stato in grado di fare il salto definitivo. Champions, Pallone d’Oro, parole appartenenti a una lingua straniera. Ma Zlatan impressiona i tifosi del Milan con gol stupefacenti, come quello segnato al Lecce. E’ l’unico che dà del tu a Galliani, perché il suo modo di parlare è diverso da quello di tutti gli altri. Perché lui è Zlatan.
Nervi
La seconda stagione in un Milan ancora d’oro è un po’ diversa, l’esempio è la partita di ritorno negli ottavi di Champions League con l’Arsenal, a Londra. Rossoneri in largo vantaggio dopo la gara di andata, ma impietriti al ritorno. Tre portieri in panchina per questioni di infortuni, i giocatori migliori, da Thiago Silva a Zlatan, inspiegabilmente nervosi e impacciati. Finisce con una litigata negli spogliatoi fra Ibrahimovic e Allegri. Zero rancore in seguito, perché lo svedese chiude i suoi conti appena può. Ma la stagione non finisce come sperava, soprattutto il Milan è costretto a cederlo, come Thiago Silva, per questioni di bilancio. E a Zlatan la cosa non va giù, anche se la vita a Parigi, al Psg, non è male. «Di buono c’è solo lo stipendio». Da lì un altro peregrinare fra Inghilterra e Stati Uniti, fino al ritorno, il 6 gennaio. Il Milan in fondo è un po’ la sua casa. Ora lo ha dimostrato.
La cessione Zlatan non avrebbe voluto trasferirsi a Parigi