«Io mi sono pentito di quel gesto fatto nel ‘72»
3Charlie Yelverton, un mito della pallacanestro italiana degli anni Settanta, va controcorrente. Quando giocava con Portland, nel 1972 è stato il primo giocatore Nba a protestare contro le ingiustizie sociali non alzandosi all’inno statunitense e perciò è stato espulso dalla Lega approdando poi in Italia dove, con Varese, avrebbe vinto uno scudetto e una coppa Campioni. Cosa pensa ora della scelta di molti giocatori Nba e di altri sport Usa di fermarsi per i fatti di Kenosha?
«I sette colpi di pistola alla schiena del povero Blake hanno risvegliato alcune coscienze, ma diffido di tutti coloro che, schierandosi col Black Lives Matter, predicano i diritti uguali per tutti. C’è molta speculazione e chi parla bene poi non fa nulla per risolvere conflitti e violenze come molti sindaci neri che non entrano nei ghetti delle loro città per evitare problemi lasciando le cose come stanno. Barack Obama, per esempio, non è mai stato nei ghetti di Chicago. Io la vedo come un’enorme campagna di odio contro il presidente degli Stati Uniti».
3In
passato ha criticato il “kneeling” (inginocchiamento) di molte stelle Nfl e Nba. Non tutte le proteste sociali hanno un senso?
«È così. Quando sono cadute le Torri Gemelle, con tanti poliziotti e vigili del fuoco caduti, non ho visto iniziative o proteste. Lì mi sono pentito di quel mio gesto fatto nel 1972».
3LeBron
James, leader in campo e voce dei giocatori, oggi sta diventando più forte di Donald Trump? «Certamente è più popolare, ma dovrebbe pensare a giocare senza piangere o parlare troppo. Si è fatto strumentalizzare? Forse gli interessa essere dentro al Black Lives Matter per tanti motivi. Ormai è una moda farne parte».
Andrea Tosi