INFINITO IBRA
Lo svedese stende il Bologna con una doppietta: «Ma se fossi più giovane ne avrei fatti altri». Rossoneri brillanti e imbattuti da 13 gare: così la Champions non è un miraggio
Senza fine. Ibrahimovic attraversa le colonne d’Ercole del tempo e a 38 anni, quasi 39, decide le partite come se ne avesse dieci di meno. Si concede pure il lusso di sbagliare il terzo gol, una rete che sembrava scritta, ma è un errore che gli va abbuonato perché a un campione di quest’età che cosa si può rimproverare? Forte è la tentazione di attribuire tutto il merito della vittoria a Zlatan, di proclamare lo stato di Ibradipendenza, ma non sarebbe giusto, perché Ibrahimovic ha alle spalle una squadra che lo sostiene e che reagisce alle sue sollecitazioni. Il Milan ha battuto il Bologna con due gol dell’highlander di Malmoe e con una convincente prestazione di gruppo. Ha allungato la striscia dell’imbattibilità, in Serie A non perde da 13 partite. Ha relegato l’avversario in un angolo, lo ha costretto a pensare in piccolo, qualche ripartenza e via, eccezion fatta per lo spezzone conclusivo, in cui la girandola delle sostituzioni ha cambiato i connotati al match e ha avvicinato i rossoblù alla porta di Donnarumma in modo serio, con pericolosità. Troppo tardi, però.
Ipnosi e mazzata
Il Milan è scampato a un inizio avventuroso, ha concesso subito al Bologna un quasi gol con Soriano, poi si è rimesso in riga e con pazienza ha intessuto la propria tela. Mihajlovic ha impastoiato il campo, ingarbugliato il traffico. Ha lasciato davanti il solo Palacio e ha ordinato agli altri di remare dietro la linea della palla. Sistema 42-3-1 abbastanza teorico. Ci sono stati momenti in cui Schouten si è staccato dall’allineamento con Dominguez per marcare Calhanoglu a uomo. E ci sono state azioni in cui Barrow, schierato a largo a sinistra per dispiegare la sua falcata da mezzofondista, è stato costretto a correre all’indietro per inseguire Calabria, un rovesciamento di ruoli. Su queste e altre incongruenze il Milan ha edificato la sua partita. Non si è spazientito, ha fatto girare palla senza fretta, ma senza pausa. Da destra a sinistra e viceversa, passando per il centro. Pareva un dondolio sterile, era la strategia dell’ipnosi, un modo per illudere il Bologna che una resistenza fosse possibile. Diffuso
il sopore, il Milan è andato all’incasso: al minuto 35 nella linea difensiva di Mihajlovic c’era una tale confusione per cui, sul cross di Hernandez, a contrastare Ibra di testa – ricordiamo che lo svedese è alto un metro e 95 - si è ritrovato Dominguez, dal basso del suo metro e 79. Per di più parliamo di un centrocampista, non troppo abituato all’elevazione difensiva. Qui la partita si è
stappata, 1-0, e il Bologna si è ritrovato davanti a una salita impegnativa, non più scalabile perché ogni volta che i rossoblù spingevano in su il pallone la palla rotolava giù in discesa, verso la porta di Skorupski.
Rigore e svarione
All’intervallo Pioli ha sostituito Castillejo con Saelemaekers e proprio il giovane belga ha fatto capire quale sarebbe stato l’andazzo, con una ripartenza rapida pro-Ibra, chiusa da un tiro potente, ma non angolato. Poi il rigore, arrivato via Var perché La Penna aveva valutato che il fallo fosse stato commesso fuori area e trasformato da Ibra. Poi il 3-0 fallito dallo stesso Zlatan, dopo aggiramento del portiere, con tiro alto, e nella circostanza sì, si sono visti gli anni, perché è mancata l’agilità, la frazione di secondo che avrebbe permesso allo svedese di calibrare meglio il tiro, con postura migliore. Qui il Milan si è ritratto un po’, ha deciso che la conservazione del risultato fosse la via migliore. E in progressione è venuto fuori il Bologna, la qual cosa ha permesso a Mihajlovic di dichiarare che in fondo la sua squadra è stata all’altezza e l’incontro in equilibrio. Non siamo d’accordo: per destare il Bologna, per obbligarlo a reagire e a proporre, ci sono voluti due gol milanisti. Donnarumma ha compiuto la prima vera parata al 34’ della ripresa, su Skov Olsen. Dall’occasione subitanea di Soriano, la palla deviata in angolo da Kessie in principio di gara, erano passati 80 minuti, un periodo lungo in cui il Bologna ha più che altro boccheggiato. Aggrapparsi agli ultimi 15 minuti, rabbiosi e conditi da una traversa un po’ casuale, è comprensibile e umano, se si è in preda ai fumi della sconfitta, però la vittoria del Milan è legittima e non soltanto per la presenza scenica e tecnica di Ibra.
Dove può arrivare?
Più difficile stabilire la collocazione del Milan in questo campionato. Non c’è dubbio che possa correre per la Champions, perché oggi la leadership di Ibra e l’identità tattica della squadra combaciano al millimetro. Non si può però pensare che Zlatan giochi tutte le partite – sarebbe pazzesco se ci riuscisse – e non sappiamo come reagirà il gruppo alle difficoltà, che prima o poi arrivano per tutti. Forse è meglio non pensarci, godersi l’onda lunga di questo Milan ritrovato. Un’estate di rinascita, da procrastinare il più possibile.
A quasi 39 anni lo svedese continua a decidere le partite. Bella prova di squadra dei rossoneri imbattuti da 13 gare