LO SPORT CAMBIA MENO PALESTRE PIÙ BICI E CORSA
GLI ITALIANI NON SI FERMANO MA LE SOCIETÀ HANNO PAURA
Gli italiani non vogliono rimanere fermi. È vero, durante il lockdown abbiamo cucinato di più (61 per cento, ma stando attenti anche a non far saltare il banco della dieta nella metà dei casi), sentiamo di aver accumulato peso (39%) abbiamo fumato di più (20%), abbiamo bevuto più bevande alcoliche (sempre 20%). Ma, alla riapertura, la percentuale di pratica sportiva è decisamente incoraggiante: c’è un 42 per cento di «attivi», un 36 di «saltuari» e un 22 di «sedentari» (il resto non si esprime). Siamo più avanti degli ultimi dati Istat anche se ovviamente si tratta di numeri non omogenei. Abbiamo piena coscienza dell’importanza dello sport nel benessere collettivo, ma viviamo un po’ di apprensione, in qualche caso di paura: un terzo degli italiani è preoccupato di fronte all’idea di uscire di casa per svolgere un esercizio fisico e sportivo. Sono solo alcuni dei numeri dell’indagine realizzata dal centro studi di Sport e Salute in collaborazione con l’istituto di ricerca SWG su un campione rappresentativo della popolazione nazionale. La cartolina è di un Paese che sportivamente «resiste», ma che fa i conti con tante incertezze. A rischiare di più sembra essere lo sport strutturato. Qui le cifre dicono soprattutto due cose: c’è una percentuale di potenziale abbandono dovuta all’emergenza Covid, mentre le società sportive dilettantistiche e le Asd dicono chiaro e tondo una cosa: «Rischiamo di non farcela».
La “resistenza”
Tuttavia il muoversi, e il muoversi per sport, è una sfera della vita che per gli italiani ha un valore importante. Anche nei giorni del «restiamo a casa», delle canzoni sui balconi ma anche dei terrificanti bollettini delle 6 del pomeriggio, siamo rimasti almeno per qualche quarto d’ora lontani dal divano. Le corsette sotto casa, i corsi online, gli esercizi nei cortili o addirittura nei terrazzi, modello Carola e Vittoria, le due giovanissime tenniste applaudite da Federer alla Van der Leyen, hanno retto l’edificio. Che non è crollato. Nella fotografia, che è stata scattata nel mese di luglio, il 57 per cento degli intervistati ha detto di aver camminato, il 27 di andare regolarmente in bicicletta e il 20 di correre. Un’attività molto spesso «fai da te», visto che gare podistiche e pedalate, a parte i format virtuali, sono state costrette a una triste sequenza di rinvii.
La paura
In questo quadro, in diversi dicono «grazie smartworking»: lavorare da casa, questa è una testimonianza diffusa, aiuta ad attuare stili di vita e fisicamente attivi, soprattutto fra i giovani e il sud Italia. Attenzione, però. Una cosa è il sentirsi bene o il considerare lo sport e il movimento come un bisogno primario, un’altra lo sguardo verso il futuro. Qui potrebbe nascondersi anche un elemento anagrafico. Da una parte il 14 per cento degli iscritti a palestre e centri sportivi dichiara di voler smettere (fra i rinunciatari il 26 per cento spiega di avere paura di contrarre il virus, un altro 20 parla invece di ristrettezze economiche); dall’altra il 17 per cento si dice disponibile a cominciare un’attività codificata. Un desiderio che riguarda soprattutto gli studenti, le mamme e i papà di bimbi piccoli, gli under 40 di ceto più alto. Che cosa sta succedendo, invece, fra i meno giovani? Avvertono di più il rischio del contagio e quindi escono meno volentieri di casa?
Se passiamo dalla domanda all’offerta, il discorso si fa più complicato. Il popolo dei dirigenti e dei volontari, quello delle 100mila società, si sente insicuro, vulnerabile. Solo il 42 per cento si è sentito pronto ad affrontare la tempesta. Anche il rifugio dell’offerta sportiva online ha funzionato a metà: il 69 per cento dei soggetti ha predisposto una proposta online, soltanto il 7 ha provato con una proposta a pagamento. La ripartenza è con il fiatone, c’è poco da fare: il 69 per cento ammette di «fare fatica».
Gli “ottimisti”
Poco meno della metà degli interrogati, il 44 per cento delle imprese, prevede di non riavviare a pieno le attività entro ottobre. E qui c’è un capitolo delicato: che cosa tira il freno a mano impedendo la ripresa?
C’è una forbice fra la percezione dei cittadini e quella delle associazioni/imprese: 53 per cento di ottimisti contro 41. Per il 76 per cento dei soggetti interrogati non ci sarà meno burocrazia. Le «colpe» della crisi sono i ricavi ridotti, la difficoltà a far quadrare i bilanci e, nella metà esatta dei casi, i «troppi oneri per far applicare e rispettare le disposizioni per la prevenzione del contagio da Covid». Regole che però vengono accettate senza particolari ostilità: per il 75% delle società queste regole sono utili e anche l’apprezzamento per le linee guida è al 70%.
Bandi e digitale
Fra le idee su come reagire ci sono soprattutto due strade: da una parte si conta sull’appoggio dello Stato, e quindi si punta sulla capacità di partecipare e di accedere ai bandi pubblici di finanziamento (63%), ma anche sulla formazione: cioè la necessità di trovarsi più preparati sul piano legale-gestionale, e soprattutto sul fronte digitale. Sono numeri che descrivono in fondo una richiesta: l’Italia dello sport, quella del milione di volontari e di chi sta combattendo per tornare a occupare le palestre scolastiche il pomeriggio, chiede una mano. In termini di servizi, formazione, risorse. Un’Italia che va ascoltata.
Una ricerca di Sport e Salute e SWG evidenzia che il Covid-19 non ci ha reso inattivi. Bici, corsa, camminate e allenamenti a casa compensano i rischi della “fuga” da palestre e centri sportivi