La Gazzetta dello Sport

Elia Viviani «CERCO LA VITTORIA COME UN BOMBER AFFAMATO DI GOL LA TROVERÒ CONTRO SAGAN E GAVIRIA»

Il veronese e un trionfo atteso da più di un anno: «Il Giro è la gara giusta per spezzare il digiuno Se torno al successo potrei non fermarmi più: sono un cavallo da corsa, il Tour mi è servito»

- di Ciro Scognamigl­io - INVIATO A ISOLA DELLE FEMMINE (PALERMO)

Come un centravant­i che ci prova, ci riprova e non segna. Una volta il palo, un’altra il ciuffo d’erba, quell’altra ancora la mira sbagliata. E allora le attese si allungano, la porta si rimpicciol­isce, le orecchie fischiano… E’ un po’ così che Elia Viviani deve sentirsi. «Sì, è un paragone che ci sta, sono due situazioni simili», ammette. Il 31enne veronese della Cofidis non vince una volata da più di un anno, esattament­e dal 21 settembre 2019 al Giro di Slovacchia. Tanto, anche consideran­do la pausa forzata del lockdown: solo un’altra volta da quando è pro’ era stato a secco più a lungo, dal marzo 2016 all’aprile 2017. A neanche due settimane da un Tour deludente, ecco che l’olimpionic­o di Rio nell’omnium si rituffa nelle mischie a oltre sessanta all’ora al Giro d’Italia 103, che scatta sabato da Monreale con una crono. Per risorgere, e dare un senso a una stagione nata storta e – per ora – continuata peggio. Ma se c’è uno abituato a schienare le difficoltà quello è Elia, arrivato al culmine della gloria a cinque cerchi quattro anni dopo la cocente delusione di Londra. «Se mi sblocco posso anche non fermarmi più».

Viviani, che sensazione prova se riflette sul fatto che non vince da oltre un anno?

«Ci sono due aspetti. Uno è emotivo. Lo sprinter vuole vincere come un attaccante segnare. L’altro è tecnico: perdi un po’ quel feeling con il momento giusto, l’attimo, il saltare da una ruota all’altra quando serve. Insomma, la sicurezza della volata perfetta».

Quando ha deciso di fare il Giro dopo aver concluso il Tour?

«L’idea in realtà c’è sempre stata, ma bisognava fare il punto sulla condizione. Se fossi uscito male dal Tour, non sarei qui in Sicilia. Al contrario, nonostante non abbia vinto le sensazioni erano migliori alla fine. E poi, abbiamo analizzato che mi sono mancate le gare. Io sono un “cavallo” da corsa. Strada, pista, la competizio­ne mi ha sempre dato qualcosa in più. Lo stop forzato me l’ha tolto, rispetto allo scorso anno».

Quindi il Tour potrebbe averla aiutata?

«Credo e spero di sì. Per questo abbiamo pensato al Giro come una grande opportunit­à per dare la svolta definitiva a questa stagione. Io dopo un grande giro sono sempre stato al top. Pensate al 2019, quando ad agosto vinsi a Londra, ad Amburgo, e l’Europeo».

3Le manca ancora l’apripista Sabatini: al Tour non era stato convocato, stavolta per i postumi del Covid-19. «Sfortuna. Ha preso il virus e basta, certo non è una colpa. Al Giro si doveva venire con una squadra solo per la volate (al Tour c’era lo scalatore Martin, ndr). Poi è stato cambiato un corridore anche oggi (ieri, ndr). È negativo, ma non sta bene. E’ il belga Kenneth Vanbilsen, che ha sempre fatto parte del mio treno. Lo sostituisc­e il tedesco Mathis, che pure era nel gruppo ma in ruolo diverso, per tirare più lontano dal traguardo. Insomma, per il finale mi trovo con i soli Consonni e Haas».

Il treno iniziale quale avrebbe dovuto essere?

«Quello iniziale dell’Australia in gennaio: Haas, Vanbilsen, Consonni, Sabatini e io. Dovremo arrangiarc­i di più, ma la mia condizione stavolta dovrebbe essere al top e confido che questo possa fare la differenza».

Qual è il sentimento che domina dentro di lei? «Principalm­ente… voglia di rivalsa. Voglia di dimostrare chi sono. Sinceramen­te più a me stesso che agli altri, tranne qualche eccezione. Arrivo da due annate fantastich­e e so bene che sono quello degli anni scorsi, non è cambiato qualcosa in pochi mesi. Però serve il risultato a confermarl­o».

Beh, è cambiata la squadra: molti pensano che lasciare il gruppo della Deceuninck­Quick Step per la Cofidis sia stato un errore…

«Non voglio nasconderm­i dietro a un dito, pensavamo che le cose funzionass­ero meglio. Però finora non è stato così, quindi vediamo di farle funzionare. Con i risultati, per l’appunto. In questo momento a chi la pensa così, tra virgolette, diamo ragione. Ma non nel senso che mi guardo indietro e penso “chi me lo ha fatto fare”, ma che ritenevamo di far funzionare le cose più facilmente».

Nel dettaglio?

«Siamo venuti qui per creare un gruppo intorno a me, ma finora per un motivo o per l’altro, compresa la stagione così strana, non c’è stato. Potrebbe dipendere anche dal fatto che io non sono stato quello degli anni scorsi… ma io sto trasmetten­do al team che bisogna continuare a lavorare nella stessa direzione, non buttarsi nella mischia e sperare che le cose vadano bene».

Giro d’Italia per lei significa tanto: quali sono i ricordi più belli?

«Il primo successo a Genova, cinque anni fa. E’ “la tappa”, è stato il primo passo verso il corridore che sono diventato. Il Giro dei sogni è stato quello del 2018, con 4 successi e la maglia a punti. L’obiettivo, il sogno che ho adesso, è ripetere quella edizione. Sì, perché se riparte il meccanismo – l’ho già provato in passato – non mi fermo più. Chiaro che il minimo è iniziare a tornare a vincere. Punto».

Il giorno più difficile al Giro?

«Penso la tappa di Arezzo, Giro

d’Italia 2016. Fuori tempo massimo. Ho sofferto tutto il giorno, a casa non volevo andarci. Ero già fuori e mancava un altro giro del percorso ma ho voluto concludere comunque. Come dire “io spontaneam­ente non me ne vado, mandatemi via voi”».

Come si immagina i prossimi sprint?

«Con Gaviria, Sagan, Demare, per citare solo i primi tre che mi vengono in mente… saranno a livello di quelli del Tour de France».

Chiudiamo con il suo amico Filippo Ganna: è rimasto sorpreso dal titolo iridato della crono?

«No. Me l’aspettavo. Il successo alla Tirreno-Adriatico era stato un segnale troppo forte. E’ straordina­rio, ha fatto qualcosa di grande. Ma sono convinto che possa crescere ancora. Diciamo che adesso è diventato grande in tutti i sensi».

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