Bundesliga, la ricetta per affrontare il virus si chiama solidarietà
Detto, fatto. Individuato il problema – la preoccupazione per la tenuta dei conti del calcio tedesco, in particolare di quelli dei piccoli club – la Bundesliga ha subito agito per trovare soluzioni, cominciando dalla modifica con effetto immediato delle modalità di distribuzione delle risorse dei diritti tv. Poche settimane di dibattito e, lunedì, la decisione. Non è il momento per perdere tempo o limitarsi a pietire aiuti pubblici. Il Ceo della Lega, Christian Seifert, annunciando le novità introdotte, ha aggiornato le stime del tracollo: se non tornerà il pubblico negli stadi, in questa stagione il calo di fatturato arriverà a un miliardo di euro, dopo i 650 milioni già svaniti nel 2019-20, per toccare i 2 miliardi complessivi da marzo 2020 all’estate 2022, anche se la situazione si normalizzerà. Impossibile stare fermi, senza provare a cambiare il corso degli eventi.
Il sistema tedesco di ripartizione dei diritti domestici si basava su un meccanismo a un tempo meritocratico e solidale: le quote erano suddivise in gran parte sulla base dei risultati acquisiti, soprattutto quelli degli ultimi cinque anni, destinando però un 20% del totale alla Bundesliga 2, la Serie B, anche perché, unicum in Europa, i diritti di Serie A e B sono da sempre commercializzati insieme. I piccoli club di A volevano ossigeno per sopravvivere, a costo di sottrarlo alla serie cadetta. Si è trovata invece una formula che li sostiene pur continuando a destinare il 20% dei ricavi alla Bundesliga 2. Il 50% delle risorse verrà d’ora in poi ripartito in parte uguali fra tutti i club, anzi in questa e nella prossima stagione, le più delicate, si salirà al 53%. Il 43% (42% nei primi due anni) verrà assegnato in base alle performance sportive, con un peso ponderato ridotto riferito allo “storico”. Il 4% (3% nei primi due anni) verrà distribuito in relazione ai minuti effettivamente disputati dagli Under 23 e al numero di giocatori schierati prodotti dal vivaio. Infine, l’ultimo 3% (2% nei primi due anni) viene riservato alla reputazione dei club, valutata da un’agenzia di ricerche di mercato. L’audience televisiva è stata esclusa dai criteri utilizzati, in quanto difficilmente calcolabile con l’ingresso delle piattaforme Ott e comunque eccessivamente condizionata dai capricci dei calendari. Anche la quota in parti eguali dei diritti tv per l’estero è stata aumentata dal 25 al 35%. Il resto sarà distribuito sulla base dei risultati ottenuti nelle coppe europee.
In questo modo, il sistema Bundesliga cerca di evitare il crac dei più deboli. Sarà sufficiente? In ogni caso, i piani di riforma non finiscono qui. Sullo sfondo resta la possibilità, sull’esempio italiano, di ricorrere a fondi di private equity. Ma con molte precauzioni. Probabilmente consentendo loro di entrare soltanto nella società che commercializza i diritti internazionali. Gli investitori privati, si sa, in Germania non possono acquisire il controllo dei club (per la regola 50+1). Spalancargli le porte della Lega rimetterebbe in discussione quel principio. Certo è che in tutta Europa il calcio si sta muovendo per tentare di arginare con i propri mezzi le conseguenze della pandemia. In settimana, in Inghilterra, la Premier League ha deciso di aiutare i club di League One e Two (Serie C1 e C2) con 50 milioni di sterline e di fornire le garanzie per un prestito a tasso zero di 200 milioni di sterline ai club di Championship (Serie B). Solo in Italia, fondi a parte, non si muove niente e niente si muoverà sino alle elezioni di fine febbraio in Federcalcio. Salvo chiedere aiuto al governo, s’intende.