La Gazzetta dello Sport

Amicizia in campo e via chat

I vecchi compagni e quel dialogo fatto di affetto e messaggi

- di Alberto Cerruti

C«Ciao a tutti, sono Federica moglie di Pablito Rossi. Volevo informarvi che Paolo ci ha lasciati poco fa, dopo mesi di sofferenza. Il mio cuore è a pezzi ma so il bene che voleva a voi tutti e il senso di gruppo che vi ha sempre uniti e contraddis­tinti. Un abbraccio a tutti e non dimenticat­elo». Il messaggio arrivato nel cuore della notte ha svegliato i campioni del mondo che stavano dormendo e non ha più fatto addormenta­re quelli ancora svegli. Pablito, perché così lo chiamavano tutti, «ci ha sorpreso anche stavolta», ha commentato il suo fraterno amico Antonio Cabrini e mai come stavolta «fraterno» è un aggettivo da intendere in senso letterale, ricordando il rapporto che li ha sempre uniti, da quei giorni di giugno del 1978, al Mondiale in Argentina, quando Enzo Bearzot li lanciò a sorpresa in Nazionale.

Uniti per sempre

Rossi e Cabrini, Cabrini e Rossi, ma non soltanto loro. Perché l’Italia campione del mondo quattro anni più tardi in Spagna non era soltanto una squadra con tanti giocatori forti in campo, era molto di più: un gruppo composto da uomini veri che ancora oggi, a trentotto anni di distanza, sono uniti come allora. Stimolati da Altobelli, che smista i vari messaggi sulla chat dei campioni 82, gli azzurri si scambiano auguri per i compleanni, si prendono in giro e si incoraggia­no nei momenti di difficoltà. E così nelle ultime settimane sono stati molti i messaggi inviati a Pablito, che rispondeva a tutti ma non parlava più con nessuno. Un silenzio che incominciò a preoccupar­e anche chi scrive, perché per la prima volta Pablito non aveva risposto ai nostri auguri per i suoi 64 anni, il 23 settembre scorso.

“Rossi II”, ala destra

Da allora soltanto messaggi, con alti e bassi come la sua carriera, sempre veloce fin dal pomeriggio in cui lo scoprimmo la prima volta nell’autunno nel 1975, con la maglia del Como di Bagnoli in un’amichevole contro il Verona. Allora non era ancora né Paolo, né Paolino, né tantomeno Pablito, ma soltanto “Rossi II”, diciannove­nne in prestito dalla Juventus, perché “Rossi I” era Renzo, più famoso di lui. Eppure quel ragazzino che scattava dalla fascia destra e non aveva ancora esordito in A ci sembrò subito capace di sorprender­e tutti, prima per le sue doti in campo e poi per la sua semplicità fuori. Da Como a Vicenza, capocannon­iere del Real Vicenza del suo primo e mai dimenticat­o maestro G.B. Fabbri, trampolino di lancio verso la maglia azzurra, quella che più di tutte lo ritrae in queste ore.

Solo un vittima

Perché Pablito, come lo soprannomi­nò durante i Mondiali in Argentina il collega Giorgio Lago del “Gazzettino”, rimarrà per tutti l’icona del Mondiale del 1982, dopo le parentesi tra il Perugia la Juventus. Lui che per chi lo conosceva è sempre stato vittima e non colpevole del processo che gli costò due anni di squalifica per il calcioscom­messe del 1980, secondo tutta l’Italia non doveva

«Paolo ci ha lasciati». Così i campioni ’82 hanno saputo Il racconto del giornalist­a che li seguì per la Gazzetta

Era l’anno dei Mondiali, quelli dell’86 Paolo Rossi era un ragazzo come noi ANTONELLO VENDITTI NELLA CANZONE “GIULIO CESARE”

nemmeno partire per la Spagna, perché era fermo da due anni mentre Pruzzo aveva appena vinto il titolo di capocannon­iere con la Roma. Soltanto chi lo ha visto in difficoltà, prima negli allenament­i ad Alassio e poi a Pontevedra, quando era pallido e fuori forma, può capire quanto ha sofferto prima della gloria.

Il Vecio e le bimbe

Dal primo piano della “Casa del Baron” guardava dalla balconata in legno noi giornalist­i che lo aspettavam­o per intervista­rlo, ma anche lì faceva una finta e poi dribblava tutti. In silenzio, prima ancora di quello di tutta la squadra, Pablito ha preferito parlare con i fatti, come i grandi, in un giorno e in un’ora insolita per una partita, incomincia­ta alle 17.15 di lunedì 5 luglio a Barcellona. Uno, due, tre gol e tanti saluti al favoritiss­imo Brasile, con un 3-2 passato direttamen­te dalla cronaca alla storia. Capocannon­iere con 6 gol, dopo la doppietta alla Polonia e il gol d’apertura nella finale, quindi Pallone d’oro, ma sempre semplice, mai in caccia di facili rivincite, e soprattutt­o riconoscen­te a Bearzot, l’uomo cui deve tutto e per il quale lo abbiamo visto piangere quando ha presentato il suo libro a Trieste, commuovend­osi vicino alla signora Luisa, moglie del c.t. scomparso dieci anni fa. Pablito era così, capace di sorprender­e con la sua velocità gli avversari in campo, e con la sua discrezion­e gli amici fuori che domani lo saluterann­o a Vicenza, stringendo­si alla moglie Federica, alle sue “bimbe”, come le chiamava lui, Maria Vittoria a Sofia Elena, al primogenit­o Alessandro con la mamma Simonetta.

Ciao, Ulisse

Allora addio al tuo sorriso e alle tue battute Pablito e grazie per tutti i messaggi, fino all’ultimo del 27 novembre scorso: «Purtroppo sono ancora in ospedale. Alla prima occasione ti racconterò tutta la mia odissea!!». Proprio così, con due punti esclamativ­i, indiretta dimostrazi­one della tua voglia di vivere. Invece la tua odissea la raccontera­i a Gai e al Vecio. E anche tu, come loro, non sarai dimenticat­o da nessuno. Stai tranquilla, Federica.

 ??  ?? Con la “sua” coppa verso il cielo È solo l’inizio della grande festa: Paolo Rossi, allora 25enne, alza la Coppa del Mondo dopo la finale mondiale ‘82 sul prato del Santiago Bernabeu: accanto a lui Franco Causio
Con la “sua” coppa verso il cielo È solo l’inizio della grande festa: Paolo Rossi, allora 25enne, alza la Coppa del Mondo dopo la finale mondiale ‘82 sul prato del Santiago Bernabeu: accanto a lui Franco Causio
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