Che anno, quell’anno
ADDIO TERRORISMO PABLITO FA GOL, PERTINI APPLAUDE E NOI SIAMO FELICI
Rossi è il simbolo di un’epoca, con la fine degli Anni di piombo, il Mundial, la gioia popolare. E il videoregistratore per rivederci
Nel 1982 erano stati presentati da poco i videoregistratori. Si affittavano, non si acquistavano, allora. Era la prima volta che si poteva uscire dalla dimensione puramente effimera del vissuto televisivo. Un’immagine poteva dunque non solo “passare” ma anche restare. Ci sembrò una rivoluzione immensa. Poter possedere e rivedere per tua scelta ciò che era comparso un istante su uno schermo televisivo era sconvolgente. Le cassette erano grandi e l’apparato rumoroso ma rassicurante. Ci fu un boom di affitti, nella primavera di quell’anno. I Mondiali di calcio di Spagna trainarono un’industria, quella della comunicazione, che poi trainerà un decennio, forse un quarantennio.
Pertini e Spadolini
Eravamo nell’estate del 1982. Davanti alla televisione. Spadolini era Presidente del Consiglio, il primo non democristiano da decenni. Pertini, socialista, era il Capo dello Stato. Qualcosa si muoveva. Il Commissario tecnico della nazionale era Enzo Bearzot, che aveva ereditato, in coabitazione con Fulvio Bernardini, la squinternata e lacerata Nazionale reduce dalla disfatta dei Mondiali del 1974 e poi, rimasto solo alla guida degli azzurri, li aveva portati in Argentina a giocare un calcio spettacolare mostrando il coraggio di includere, all’ultimo momento, il ventunenne Paolo Rossi centravanti del piccolo Lanerossi Vicenza e Antonio Cabrini, venti anni e quindici sole partite in stagione con la Juve. Fummo eliminati dalla mala sorte con l’Olanda ma gli italiani si innamorarono di quella formazione che, quattro anni dopo, arrivò in Spagna accompagnata però da mugugni e fosche previsioni. In mezzo c’erano stati gli Europei disputati in Italia con scarsi risultati e lo scandalo delle scommesse che aveva terremotato il calcio e frenato per due anni persino il più popolare dei calciatori italiani, Paolo Rossi.
“Morituri te salutant”
Con questo spirito accendemmo, per la prima volta contemporaneamente, televisione e vtr e ci collegammo con la Spagna. Nando Martellini ci raccontò le prime tre stanche partite degli azzurri. Brutto gioco, Rossi a secco. Apriti cielo! Furono rovesciati secchi di melma sulla Nazionale, sull’allenatore, su Rossi, sulla vita personale dei giocatori. Finché non arrivò il più inaspettato degli scenari immaginabili. Gli azzurri erano capitati in un girone, al secondo turno, composto da Argentina, campione del mondo uscente con in più Maradona, e dal Brasile di Junior, Socrates, Falcao, Zico, Eder.. Lo stato d’animo dei tifosi era del tipo “Morituri te salutant”.
E poi, la magia
Nel West non avrebbero scommesso un cent sul futuro degli azzurri. Invece la rabbia per gli attacchi subiti, la forza tecnica della squadra, la rude serenità di Bearzot fecero il miracolo. E Paolo Rossi, contestato in patria, diventò in breve l’eroe nazionale. Fece sei gol di seguito, tutti belli. Gol alla Rossi, uno che sapeva e capiva prima degli altri dove la palla sarebbe andata. Un giocatore di fulminea intelligenza e di rapidità di pensiero e di movimento. Segnava sempre lui. Tre con il Brasile, due con la Polonia, il primo con la Germania. E l’Italia impazzì. Fu una gioia superiore anche a quella grande del 2006. Una gioia in fondo non tanto diversa, nella sua genesi. Furono due nazionali vilipese da stampa e tifosi sbrigativi, invitate a rientrare a casa per non far danni, accompagnate dal rumore di scandali precedenti. Una storia che si è ripetuta. La differenza la fa la situazione storica. Nel 1982 mettevamo fuori la testa dall’incubo del terrorismo e ritrovare un sorriso tra la gente che si abbracciava in piazza fu particolarmente emozionante.
Eravamo felici
Eravamo felici, in quei giorni di luglio. E Paolo Rossi è stato il simbolo di quella gioia, la ragione dell’allegria di sessanta milioni di persone che riaprivano le finestre. Lui, per tutti, è incastonato in quella felicità. Rossi, per tutti, è un sorriso e un ricordo dolce. Una volta gli domandai: «Se lei dovesse portare con sé su un’isola deserta tre oggetti, solo tre, della sua meravigliosa carriera quali sceglierebbe?». «La potrà sorprendere ma non porterei né il Pallone d’oro né la Coppa del mondo. No. Porterei una maglia azzurra con il numero 20, dei pantaloncini bianchi e dei calzettoni azzurri. Sono questi gli oggetti più importanti».