La Gazzetta dello Sport

Scudetti e coppe in bianconero

- di G.B. Olivero

Come spesso accadeva, la fotografia più nitida fu scattata da Gianni Agnelli: “Quando non si capisce chi ha segnato, ha segnato Rossi”. L’Avvocato aveva il dono di etichettar­e in modo originale i campioni che lo facevano divertire, in particolar­e i numeri 10: scherzò con Platini, coccolò Baggio, pungolò Del Piero. Pablito faceva parte di un’altra razza, quella dei centravant­i inesorabil­i che sulla schiena portavano il 9, ma si meritò ugualmente le attenzioni dell’Avvocato. Il motivo è semplice: Rossi non era solo uno spietato esecutore, ma anche un grande giocatore dotato di tecnica sopraffina. La Juve dei primi anni Ottanta era fortissima. C’erano la classe di Platini, la spinta di Boniek, la corsa di Tardelli, l’eleganza di Scirea, i cross di Cabrini. E c’era Paolo Rossi, centravant­i classico per la capacità di fare la differenza in area ma anche molto moderno per l’interpreta­zione del ruolo. Una storia travagliat­a, quella di Rossi con la Juve. Ritardata, sofferta, poi finalmente sbocciata e fiorita.

La lunga attesa

Tutto inizia nel 1972, Paolo ha solo 16 anni, i genitori non sono convinti di lasciarlo andare a Torino visto che il fratello Rossano aveva fatto lo stesso percorso ed era anche stato rispedito indietro dopo solo un anno. Ma Italo Allodi li convince. L’esordio in prima squadra arriva in Coppa Italia l’1 maggio 1974. Poi, dopo l’esperienza a Como, Rossi va a Vicenza e nel 1978 il calciomerc­ato vive uno dei primi momenti storici. L’attaccante è in comproprie­tà tra Juve e Lanerossi, alle buste il presidente dei veneti Farina offre 2 miliardi e 612 milioni di lire per metà cartellino. Paolo resta a Vicenza, poi va a Perugia, è coinvolto nella vicenda del calcioscom­messe e infine torna alla Juve. Nell’aprile del 1982, alla terzultima di campionato, i bianconeri giocano a Udine e Rossi, al rientro dopo la squalifica di due anni, è titolare. Il tanto atteso debutto in A con la Juve viene festeggiat­o con un gol e una vittoria nella volata verso il ventesimo scudetto.

Italia ed Europa

Nell’estate del 1982 ai sei campioni del mondo (Zoff, Gentile, Cabrini, Scirea, Tardelli e Rossi) e a Bettega i dirigenti bianconeri aggiungono Platini e Boniek. In panchina c’è Giovanni Trapattoni, commovente ieri nel salutare Rossi come un figlio: “Caro Paolo, i giocatori non dovrebbero andarsene prima degli allenatori”. L’obiettivo del Trap e della sua combriccol­a di fuoriclass­e è la Coppa dei Campioni e la stagione 1982-83 è quella della grande illusione: la Juve vince “solo” la Coppa Italia (rete di Pablito e doppietta di Platini nella finale di ritorno con il Verona) chiudendo il campionato dietro alla Roma e perdendo la finale di Coppa Campioni con l’Amburgo. Eppure la cavalcata europea fino all’ultimo atto è fantastica. Rossi segna 6 gol in 9 partite, timbra la doppietta che stende lo Standard Liegi negli ottavi, ma soprattutt­o realizza di testa la rete del vantaggio al Villa Park di Birmingham nell’andata dei quarti: quel 2-1 all’Aston Villa, sublimato dalla classica combinazio­ne tra Platini e Boniek, è il primo successo italiano in Inghilterr­a in Coppa Campioni. Ad Atene, però, la Juve è bloccata e l’Amburgo gestisce senza soffrire il gol segnato in avvio. Ma la strada è tracciata e nel 1983-84 la Juve tornerà a vincere. Rossi conquista il suo secondo scudetto segnando 13 gol in 30 partite: l’ultima rete, all’Avellino, è quella che certifica il trionfo. La Juve conquista anche la Coppa delle Coppe, Pablito realizza solo due volte ma la seconda è determinan­te. Semifinale di ritorno con il Manchester United, a Old Trafford è finita 1-1 e pure a Torino il punteggio è quello fino al 90’. Scirea calcia dal limite, sulla respinta la difesa dello United commette il più grave degli errori: lasciare a Rossi due metri di libertà in area. Sulla palla vagante Pablito arriva prima di tutti, sinistro, gol e qualificaz­ione. La Juve batterà poi in finale il Porto.

L’addio a Bruxelles

Nella stagione 1984-85 Rossi segna 3 gol in un brutto campionato per la Signora, 2 in Coppa Italia, ma ben 5 in 9 gare di Coppa Campioni. La finale di Bruxelles, con la violenza degli hooligans e i 39 morti, è una delle pagine più nere del calcio. Quella partita con il Liverpool, già sconfitto dai bianconeri pochi mesi prima in Supercoppa, è l’ultima di Pablito in bianconero: è il 29 maggio 1985, la Juve vince ma non c’è gioia. Poche settimane dopo Boniperti cede il suo centravant­i al Milan di Farina (sempre lui). Ieri lo storico presidente bianconero ha commentato così la scomparsa di Rossi: “Mi dispiace molto. Paolo era un bravo ragazzo, una persona dolce e perbene. L’avevamo cresciuto noi nelle giovanili, ha fatto una splendida carriera dimostrand­o sempre il suo innato fiuto per il gol. Addio Pablito, campione indimentic­abile, il tuo scatto bruciante ci ha lasciato di sasso ancora una volta”. L’ultima partita che Rossi ha visto è stato il recente derby di Torino: McKennie e Bonucci sono sbucati all’improvviso oltre i difensori granata, come avrebbe fatto lui.

Sei cresciuto con noi, eri una persona dolce. Mi dispiace molto...

Giampiero Boniperti

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Alla Juve Da sinistra Gentile, Rossi, Tardelli, Boniperti e l’avv. Agnelli

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