La Gazzetta dello Sport

IL RAGAZZO DEL GOL

Servizi di Calamai, Cerruti, Elefante, Iandiorio, Licari, Longhi, Masala, Minoliti, Morici, Nicita, Olivero, Schianchi, con un ricordo di Giuseppe Bergomi e un intervento di Walter Veltroni

- di Luigi Garlando ONZE

IL MITICO SIGNOR ROSSI LA FAVOLA MUNDIAL DI UN ITALIANO COMUNE CHE NE FECE 3 AL BRASILE

Piangiamo come brasiliani al Sarrià. Ci bastava un pareggio. E invece Paolo Rossi è morto, a 64 anni. Ci ha fregati ancora. Ha nascosto la malattia e il dolore tra le pieghe dell’area di rigore e ci ha piantati qui, straniti, come pesanti stopper d’altri tempi. Il primo segnale: un dolore alla schiena, tipo la ginocchiat­a di un marcatore, invece era un male incurabile. Se n’è andato con la faccia scavata, come lo ricordiamo al Mundial dell’82, quando il dottor Vecchiet gli faceva arrivare in camera ogni sera latte e torta di mele per aiutarlo a recuperare peso. Era sotto di 4 kg: ne contava solo 66. Dalla Germania era arrivato uno dei primi elettrosti­molatori muscolari. Una corsa contro il tempo per ritrovare il centravant­i che aveva incantato nel ’78, fermo da 2 anni per squalifica. Compagno di camera alla Casa del Baron di Pontevedra era Cabrini. Accanto c’era la Svizzera, cioè la stanza di Zoff e Scirea, silenziosa come un pascolo, battezzata così da Tardelli, il Coyote che non dormiva nelle notti di vigilia. Perché Paolo Rossi ha vissuto anche prima e dopo, ha segnato prima e dopo, ma resterà in eterno il Pablito dell’82, quello dei 6 gol dell’apoteosi. Prima era stato un bambino svelto e talentuoso sul campetto del Santa Lucia di Prato, lo stesso dei primi gol di Bobo Vieri; poi l’ala del Como, in prestito dalla Juve; poi, spostato da G.B. Fabbri al centro dell’attacco, diventa splendido capocannon­iere (24 gol) del Real Vicenza, secondo in A nel ’78, anno del Mondiale argentino che Rossi giocò da protagonis­ta a 21 anni. Per riscattarl­o dalla Juve, il presidente Farina si svenò mettendo in busta oltre 2,5 miliardi di lire: «Il calcio è arte e lui è la Gioconda». Molto prima che Raiola lo dicesse di Ibra. Il Perugia, la squalifica, la Juve, il Mundial ‘82 e un declino precoce: Milan, Verona. Il destino baro gli aveva sfilato un menisco alla volta dalle ginocchia, come in una partita a shanghai. Uscito dal campo è stato imprendito­re e opinionist­a. Nessuna carica di grande visibilità, come quasi tutti i compagni del Mundial, sempre lontani dai ruoli di potere occupati da contempora­nei come Platini e Rummenigge. È come se i figli di Bearzot avessero stretto un patto per restare sempre e soltanto gli eroi dell’82.

Scelta d’amore

Per raccontare Pablito ’82 bisogna ricorrere al registro dell’amore o della religione. Non si spiega altrimenti la scelta del c.t. Enzo Bearzot di lasciare a casa il capocannon­iere del campionato (Pruzzo) e chiamare un centravant­i fermo da due anni che ha giocato tre partite di campionato e segnato un gol. A 6 mesi dal rientro in campo, il c.t. si presenta a un allenament­o della Juve al centro Combi. A sorpresa. Gli pizzica un fianco: «Sembri una fattrice normanna». Pablito: «Ora ho una ragione in più per rimettermi in forma». Sei mesi dopo Bearzot, nel suo Friuli, vede Pablito fare l’unico gol del campionato: di testa, come il primo al Brasile, anticipand­o Tardelli, come in finale con la Germania avrebbe anticipato Cabrini. Gli basta quell’unico bacio: una follia da innamorato. E un atto di fede che non passa dalla ragione: tornerà quello del ’78. Come piano B, si porta Selvaggi, piccolo e scattante come Rossi. «Spadino» ringrazia euforico: «Porterò anche le valigie!». E il Vecio, secondo leggenda: «L’importante è che non ti porti le scarpe». Come dire: «Non giocherai, ma mi metti meno pressione di Pruzzo». Pruzzo e Altobelli giocano a Roma e Milano dove si stampano i giornali che infierisco­no dopo le prime partite disastrose di Vigo. Tra il gigantesco polacco Zmuda e il colosso camerunese Onana, che di lavoro fa la guardia carceraria, Rossi sembra Pinocchio tra i carabinier­i: piccolo, magro, triste, sempre prigio

Magia del sax

niero. Il Niño de oro, sui giornali italiani, diventa il Niño di piombo. Votacci e aggettivi tipo: vuoto, fermo, perso, inutile… Molti invocano l’altro (Altobelli), ma l’innamorato Bearzot conferma sempre il suo Pablito. Ci trasferiam­o a Barcellona per affrontare l’Argentina di Maradona e il Brasile di Zico. In Italia preparano già i pomodori.

Invece l’Italia rifiorisce con l’Argentina, tutti tranne Pablito. Il Vecio, gran cultore di jazz, non si preoccupa: «Ho trovato l’orchestra, ora ritroverò il sax». Nessuno ci dà un grammo di speranza col Brasile di Falcao, Socrates e Zico. Il vate Carmelo Bene: «Loro hanno la grazia, noi solo Graziani». E invece Pablito fa 1-0 su cross di Cabrini. Il sax è istinto, fiutare il passaggio errato di un avversa

rio e trasformar­lo in gol: 2-1. Il sax si inserisce su altro strumento e lo porta in cielo con l’improvvisa­zione. Pablito corregge il tiro di Tardelli: 3-2. Istinto e improvvisa­zione non si insegnano. E neppure l’arte di abitare gli spazi al tempo giusto: è il suo superpoter­e in un fisico da impiegato. Ricavava gol dal nulla, come la sua Prato ricchezza dagli stracci. Ecco perché il Vecio lo ha convocato. Falcao si arrende: «Oggi Rossi era toccato dalla grazia». Non avevamo solo Graziani. Poi i due gol alla Polonia, quello alla Germania, capocannon­iere e Pallone d’oro. Oggi non piangiamo solo un centravant­i, piangiamo l’italiano dal cognome più comune che rappresent­a un popolo intero, capace di esaltarsi nelle difficoltà, di fare cose che non ti aspetti, oltre i suoi limiti. Come Rossi senza menischi, smagrito e insultato. Il gol in finale alla Germania vale la reazione eroica del soldato Giovanni Busacca-Gassman nel finale della Grande Guerra: «E mi te disi un bel nient: facia de merda!»

Tanti piangono il Mondiale dei loro 20 anni e la prima vera festa nelle strade, con i clacson e le bandiere dai finestrini. A Mondello, dopo la vittoria sul Brasile, celebraron­o il funerale di un chicco di caffè e si tuffarono in mare. L’Italia era appena uscita da anni di piombo e di stragi, il Mondiale la traghettav­a verso un decennio più leggero, di città da bere. Il precedente così lontano, 1938, dava al trionfo l’eccitazion­e della prima volta. Per questo, e per il peso degli avversari, Berlino 2006 non avrebbe avuto la stessa sacralità. Tutti ricordano dov’erano lunedì pomeriggio 5 luglio 1982, giorno di

Italia-Brasile, come per lo sbarco del primo uomo sulla luna o l’11 settembre. Emozioni storiche. Io, in assenza dei miei genitori, avrei dovuto tenere aperto il nostro negozio di vini e liquori. Restò chiuso con una fila di clienti davanti, da razionamen­to in tempo di guerra. I genitori, al ritorno, non gradirono. Ma ero già in Duomo a festeggiar­e. Piangiamo chi ci ha regalato tutto questo.

Il boia e il Vecio

Paolo Rossi è morto il giorno 9, cifra da bomber, nel maledetto 2020: due volte il suo numero di maglia in Spagna. Il suo nome in Brasile mette ancora i brividi, come il Maracanazo del ’50. Ieri Globe Esporte titolava: «È morto il nostro boia». Bruno Conti, che innescò il primo gol al Sarrià, si è appena rialzato dall’omaggio a Maradona e deve inginocchi­arsi ancora. Pochi giorni fa è scomparso Ernesto Galli, portiere del Real Vicenza. Il funerale di Pablito si svolgerà nel Duomo di Vicenza. Ci entrò quattro anni fa per l’ultimo saluto a Giancarlo Salvi, altro compagno del Real Vicenza e grande amico. Volle leggere dal pulpito una poesia di Henry Scott Holland. Probabilme­nte sono le parole che ci direbbe ora: «Parlate di me con la facilità che avete sempre usato. Ridete come abbiamo sempre riso degli scherzi che facevamo insieme. Vi sto soltanto aspettando da qualche parte, molto vicino, appena svoltato l’angolo. Va tutto bene». Accanto al Vecio e a Scirea.

Grazie per sempre, Pablito.

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 ??  ?? L’eroe di Spagna Paolo Rossi con la maglia azzurra al Mondiale di Spagna ’82, in cui fu capocannon­iere con 6 reti; a destra, la prima pagina Gazzetta del 6 luglio 1982
L’eroe di Spagna Paolo Rossi con la maglia azzurra al Mondiale di Spagna ’82, in cui fu capocannon­iere con 6 reti; a destra, la prima pagina Gazzetta del 6 luglio 1982
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