La Gazzetta dello Sport

SEGNAVA COME SORRIDEVA

- di Stefano Barigelli

La piena di questo anno s’è portata via anche lui, Paolorossi. Tutto attaccato come lo hanno chiamato per anni in ogni angolo del mondo. Il ragazzo del gol. Nell’82 con la sua simpatica sfrontatez­za trascinò l’Italia per le strade a festeggiar­e con il tricolore...

La piena di questo anno s’è portata via anche lui, Paolorossi. Tutto attaccato come lo hanno chiamato per anni in ogni angolo del mondo. Il ragazzo del gol. Nell’82 con la sua simpatica sfrontatez­za trascinò l’Italia per le strade a festeggiar­e con il tricolore, regalando a tutti, ma proprio a tutti, la felicità facile della gioventù. Atteso da Bearzot come l’uomo del destino, dopo due anni di squalifica per il calcioscom­messe, lo ripagò segnando in tutte le partite che hanno poi fatto la storia. Non si capiva se era il pallone che cercasse lui o il contrario, alla fine comunque finiva in rete.

Si inchinaron­o a quella Nazionale diventata imbattibil­e per caso, Maradona e Passarella, Falcao e Socrates, Breitner e Rummenigge. Squadre convinte d’essere superiori, anche di molto, e che invece Rossi riportò alla realtà del gioco più bello perché più semplice del mondo: la presunzion­e è la pietra angolare su cui poggia ogni fragorosa sconfitta.

Rossi era un uomo d’area moderno, lontano dalla prestanza di Riva, Boninsegna, Pruzzo. Somigliava per la rapinosità a Gerd Müller, ma era più veloce, d’altronde era nato ala, prima che G.B. Fabbri con un’intuizione da grande allenatore lo battezzass­e centravant­i. Era un giocatore leggero, fragile, rapido. Del toscano aveva appunto la prontezza, in campo e anche fuori.

Paolo Rossi subito dopo la conquista del Mondiale divenne il volto italiano globale anche perché incarnava alla perfezione le nostre qualità: non siamo mai stati il Paese della fisicità, ma dell’abilità sì. E Pablito, l’eroe del Mundial, abile lo era. I difensori, che spesso lo sovrastava­no, non li superava, li beffava.

Non era né Achille né Ettore, non li combatteva mai in campo aperto. Era Ulisse: segnava quando sembrava, per loro, che il pericolo non ci fosse. Invece c’era. Rossi vedeva l’opportunit­à di un gol dove non la vedeva nessuno. Per quella Nazionale, formidabil­e nelle ripartenze, era il terminale perfetto, come lo è stato per la Juve con cui ha vinto moltissimo. Un numero 9 con un tempismo fuori dal comune, che nel gioco di oggi sarebbe andato benissimo. Chiuse presto da giocatore afflitto da mille problemi fisici e decise di uscire dal calcio che gli aveva dato tutto. D’altronde, se fosse rimasto, avrebbero continuato a chiedergli la magia di quei giorni Mundial, gli avrebbero continuato a chiedere di fare Pablito, anche se fosse andato in panchina da tecnico. Ma sapeva che era impossibil­e. Del pallone ha continuato a interessar­si, ma la vera passione era diventata il suo agriturism­o, di cui andava giustament­e orgoglioso. Era venuto in Gazzetta circa un anno fa e si fermò a parlare più di ulivi, della sua amata campagna toscana, che della Juve di Sarri. Sempre con lo stesso sorriso da ragazzo che aveva fregato di nuovo tutti inventando­si un nuovo inizio. Dava l’impression­e di aver azzeccato ancora una volta il tempo giusto, stavolta per uscire dal pallone, rimanendog­li a una giusta distanza. Quanto basta per divertirsi guardandol­o, non abbastanza per esserne nuovamente coinvolto, se non per esprimere un’opinione su questa o su quella partita, su questo o su quel giocatore. Uscire dal proprio mondo per un fuoriclass­e, anzi soprattutt­o per un fuoriclass­e, è quasi più difficile che entrarvi. Anche se Paolo Rossi, il Pablito Mundial, il ragazzo del gol, non ci ha lasciato veramente. Ci sono campioni che perfino quando se ne sono andati per sempre, ti fanno più compagnia di un amico.

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Sorriso L’espression­e felice di Paolo Rossi, il fuoriclass­e che ha segnato un’epoca della nostra vita
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