«Quando mi disse: addio, ma ti resta il mio amore»
LA MOGLIE CON LUI FINO ALL’ULTIMO: «SAPEVA DI ESSERE ORMAI ALLA FINE DEL SUO CALVARIO»
Federica Cappelletti, mamma delle loro due bambine: «Paolo era unico. Gentile e ottimista, tutti gli volevano bene»
Ècominciato tutto a febbraio di quest’anno, di ritorno da una vacanza di famiglia alle Maldive. Paolo Rossi e la moglie, Federica Cappelletti, insieme alle loro bambine, Vittoria di 10 anni e Sofia Elena di 8, avevano festeggiato i dieci anni di matrimonio nelle isole dell’Oceano Indiano e lì avevano rinnovato la loro promessa di vita insieme. Paolo lamentava dei dolori alla schiena. «Rientrati in Italia, si è rotto un femore - ricorda Federica -. Abbiamo fatto altri accertamenti, è stato evidenziato un nodulo a un polmone. C’è stata poi una concatenazione di problemi, anche un’operazione. Un versamento di liquido, sempre ai polmoni. Alla fine il fisico ha ceduto».
3Paolo se ne è andato l’altra sera, all’ospedale delle Scotte di Siena. Era consapevole di essere alla fine?
«Sì, me lo ha detto in uno degli ultimi giorni: “Federica, io sto morendo”. E lì ho capito e ho pensato: “Se me lo dice lui, è finita”. Nella malattia però era stato positivo e ottimista come sempre. Solare. Aveva affrontato le cure con la voglia di farcela. Il nostro Mondiale: così chiamavamo il calvario delle terapie, e confidavamo di vincere. Purtroppo non è andata bene. Ho passato la sua ultima giornata con lui, nella stanza alle Scotte. Gli ho tenuto la mano, gli ho parlato. Spero che mi abbia capito. Gli ho giurato che continuerò a crescere le nostre figlie con i suoi valori. Quando ancora poteva conversare, mi ha detto: “Portati dentro il mio grande amore”. E io ho sussurrato la stessa cosa a lui. Per me è stata e resta una persona unica, insostituibile. Nessuno come Paolo. Nessuno mai. Sarà cremato e porterò le ceneri a casa, così starà per sempre con me, anzi con noi, in famiglia».
3Ha detto alle bambine che papà non c’è più? «Stamattina (ieri, ndr) le ho chiamate, ho acceso il televisore e i tablet e ho detto di guardare con attenzione, perché parlavano del loro papà. Ho spiegato: “Oggi il dolore è grande, ma voglio che vi rimanga il ricordo della grandezza di vostro padre. Sentite quanto ne parlano bene”. Le ho viste interessate, giravano i canali, ascoltavano e osservavano tutto».
3Come vi eravate conosciuti? «Nel 2003, a Perugia, alla presentazione di un mio libro sui grandi giocatori juventini. “Razza Juve”, si intitolava (Federica è una giornalista professionista, ndr). Nacque un sentimento, che poi diventò un amore dirompente».
3Insieme avete scritto due libri, “Il mio mitico Mondiale” e “Quanto dura un attimo”. La vita e la carriera di Paolo ruotano attorno al Mondiale del 1982 in Spagna, arrivato dopo due anni di squalifica per il calcio scommesse. L’inferno e il paradiso in sequenza, uno dietro l’altro. Come aveva vissuto quel periodo pazzesco?
«Con la serenità di chi non aveva commesso nulla. Con la gentilezza e con il garbo che gli erano naturali. Aveva cercato di farsi capire, di spiegare che lui quella sera nel ritiro del Perugia non aveva detto di sì a nessuno né si era accordato per qualcosa, ma nella giustizia sportiva non gli avevano creduto e l’avevano squalificato. Paolo non si lasciò andare, tenne duro, si rimboccò le maniche, continuò ad allenarsi. Tanta sofferenza e tanto sacrificio vennero ripagati dalla vita con il Mondiale di Spagna».
3Enzo Bearzot, allora c.t. della Nazionale, fu uno dei pochi a non voltargli le spalle, a credere ancora in lui.
«Paolo mi diceva: “Senza Bearzot non avrei fatto quel che ho fatto”. Si incontrarono per l’ultima volta ad Auronzo di Cadore, nel Bellunese. Bearzot era malato, alle prese con il suo tumore. Si abbracciarono e Enzo gli disse: “Paolo, grazie, io ti devo il Mondiale!”. Paolo si schermì: “Mister, ma no, sono io che devo tutto a lei!”. Li univa un affetto enorme, come tra padre e figlio».
35 luglio 1982, Italia-Brasile 3-2: Rossi, Rossi, Rossi.
«Ogni anno festeggiavamo la ricorrenza come un compleanno-bis, come una rinascita. Mi diceva: “A partita finita, mi sono accasciato. Avrei voluto fermare il tempo, godermi di più quel 5 luglio. Sapevo che non avrei mai più rivissuto momenti del genere”. Una volta a Barcellona, a distanza di anni, venne riconosciuto da una scolaresca: “Paolo Rossi! Paolo Rossi!”, gridavano i bambini e lui era felice. In giro per il mondo succedeva sempre così e Paolo era disponibile con tutti. L’ho visto comportarsi alla stessa maniera con i capi di Stato e con la gente comune incontrata al supermercato. Era umile e perbene».
3In Brasile la notizia della sua morte ha riempito le prime pagine dei giornali e dei siti, ogni tg ne ha parlato in apertura. «I brasiliani lo avevano soprannominato o Carrasco do Brasil, il Boia del Brasile, ma non c’era cattiveria in questa definizione. Oddio, negli anni immediatamente successivi qualche problema c’era stato. Nel 1989 era andato a San Paolo per un torneo master e all’aeroporto un taxista lo aveva invitato a scendere dalla macchina. Paolo l’aveva presa bene, con il sorriso. Poi il sentimento si era trasformato, dall’odio sportivo iniziale si era passati all’affetto e alla simpatia. Tempo fa Pelé gli aveva inviato un videomessaggio: “Non ce l’ho con te, amico mio. Anzi, ti ammiro. Mi dispiace soltanto che tu non abbia
Si era rotto il femore, gli avevano trovato un nodulo a un polmone, era stato operato
Gli ho parlato e tenuto la mano Lo farò cremare per averlo sempre vicino
Alle bimbe ho fatto vedere tutti i servizi sul papà. Devono avere un grande ricordo
Federica
Moglie di Paolo
giocato nel Santos”. E poi l’amicizia con Zico. Aveva fatto piangere il Brasile, ma gli voleva bene, e i brasiliani ricambiavano tanto amore».
3Gli aveva detto della scomparsa di Maradona?
«Sì, con le cautele del caso, perché stava già male. È scoppiato a piangere. Anche Diego a suo tempo gli aveva spedito un videomessaggio in cui diceva che Paolo era stato il più grande Pichichi (cannoniere, ndr) della storia e in cui ricordava divertito come al Mundial di Spagna tutti i giocatori in campo urlassero “marca Paolo Rossi! marca Paolo Rossi!”, e come nessuno riuscisse però a marcarlo».
3Non solo le bambine, Federica. A lei è affidata un’altra responsabilità, la custodia della memoria di Paolo Rossi.
«Lo so, terremo vivo il ricordo attraverso la Fondazione, realizzeremo un museo con i suoi cimeli, faremo un film. Le bimbe e la memoria di Paolo, questa sarà la mia vita d’ora in poi».