Ancelotti, l’Everton e il realismo al potere
arlo Ancelotti è un bravo cuoco e ne sa qualcosa chi ha avuto la possibilità di assaggiare qualche suo piatto, magari creato dal nulla, guardando quello che c’è in frigorifero o nella dispensa e mescolando con sapienza gli ingredienti. Il metodo che usa in cucina Carletto l’ha sperimentato da tempo in panchina e adesso, anche se per una sola notte in attesa delle partite di oggi, si gode il secondo posto in classifica alle spalle del debordante Liverpool. Il suo Everton, alla terza vittoria consecutiva (Chelsea, Leicester e Arsenal), è un esempio di sano pragmatismo di italica memoria: non bada al possesso-palla, non giochicchia ma verticalizza e, quando c’è da tirare su il muro, mica si vergogna di farlo. È il realismo al potere.
In questo campionato Ancelotti ha cambiato spesso copione, soprattutto a causa degli infortuni. Una volta ha spinto con i laterali di difesa, una volta ha optato per la fantasia di James Rodriguez, una volta si è affidato alla solidità dei mediani, e una volta ha schierato persino 4 stopper contemporaneamente. L’importante è che là davanti ci sia CalvertLewin, un centravanti che è una specie di sentenza. Carletto, come gli è già capitato in carriera, ad esempio quando al Milan s’inventò l’albero di Natale per far coesistere tutti i fantasisti di cui disponeva, sta dimostrando che il bravo allenatore, proprio come il bravo cuoco, non è quello che utilizzando i migliori ingredienti mette in tavola un piatto delizioso, ma quello che, arrangiandosi con ciò che ha, propone un pranzo o una cenetta dalla quale ci alza sazi e soddisfatti. L’Everton di oggi, dopo un anno di cura Ancelotti, è diventato una squadra che può guadare negli occhi il fenomenale Liverpool, e questo non è da tutti.
Crriva la tredicesima e va spesa bene, senza fare regali: Milan e Inter ci provano. E stiano attente: la Juve da corsa ammirata a Parma le costringe ad affrettare il passo, all’incetta sfrenata a Reggio Emilia e in casa. Il testa a testa in alta classifica non concede tregua, rossoneri e nerazzurri devono restare a fuoco alto sino a Natale, anche perché il club nove volte campione d’Italia di fila, nonostante la collezione di pareggi, rimane in piena lotta. La Juve non si limita a regolare per 4-0 un Parma che aveva la metà dei suoi punti. Nelle ultime uscite, Ronaldo e compagni avevano concesso un po’ troppo agli avversari: mercoledì l’Atalanta si era addirittura permessa di chiudere in attacco. Stavolta tutto riesce facile con i primi due gol in quattro minuti: nel tiro a segno al Tardini si rivede il fattore K, l’ex Kulusevski che riappare sul tabellino dei marcatori dopo un periodo a bagnomaria. In più c’è il Ronaldo che tutti conosciamo, non il CR7 stonato e indisponente di metà settimana. Pirlo, lo ammette lui stesso, ancora non ha dato forma definitiva al suo collettivo, però sa ciò che vuole. La sua creatura richiede pazienza, ma già rispetta l’imprinting della società, come dice la classifica: a un terzo del cammino, la Signora resta nel gruppo al comando. Il Milan dall’alto del suo
Adi primato per ora non soffre di vertigini: per quanto giovane e in piena crescita, sa vivere da capolista, posizione che all’avvio di campionato appariva ambiziosa oltre ogni previsione. Ci ha preso gusto, però ogni impresa impone ancor più bravura man mano che viene realizzata. I due recenti pareggi di fila raschiati da Pioli, tutti in rimonta, sono spia di stanchezza. E poi ci si mette l’altro infortunio a
Ibrahimovic, il leader della splendida striscia postpandemia. E poi non può rientrare nemmeno Kjaer, la più efficace diga. E poi non ci sarà neppure Rebic, che in attacco non sostituirà Zlatan. E poi, e poi… Oggi a Reggio Emilia sarà sempre più difficile: di fronte c’è lo sfrontato Sassuolo dell’ex rossonero De Zerbi, quinto a pari merito con il Napoli. È comunque uno scontro diretto per la zona Champions. Il Sassuolo ha un approccio «europeo», contro chiunque cerca di costruire la sua partita, è a quattro punti dal Milan non per caso. Viste le pesanti assenze e l’avversario, per Pioli e i suoi la trasferta sulla Via Emilia è da bollino rosso-nero. Il «Normal one» sfodera un filotto di 14 gare con almeno due gol. Però le ultime nove reti sono fatte soltanto da difensori (5) e centrocampisti (4): l’ultima punta pura a segno è stata Ibra, il 22 novembre contro il Napoli. Chiamata d’emergenza per Leao, ragazzo di grandi mezzi tecnici, ma con mezze intenzioni. Se il flessuoso portoghese si leverà di dosso la patina naif e svagata, potrà recitare da protagonista, non solo da acerbo attor giovane.
In agguato, l’Inter pianifica il sorpasso. Nel giro di due turni, il distacco è passato da -5 a -1. In teoria, giusto in teoria, rispetto al Milan è attesa a San Siro da un compito più agevole contro il neopromosso Spezia, distante 16 punti. Si rivedrà Vidal, fedelissimo contiano, in avanti resiste Lukaku, capace di sobbarcarsi enormi carichi di responsabilità, non soltanto in area. Conte cerca la sesta vittoria consecutiva: vuole toccare quota 30, come gli anni che domani compirà il presidente Steven Zhang. Nelle ultime due uscite i nerazzurri hanno raccolto a piene mani, a Cagliari e in casa con il Napoli, pur senza dominare. La tanto desiderata bellezza che Conte, all’inizio del torneo, voleva proporre si nota a intermittenza. A ridosso dalla mini-sosta di Natale, non è il caso di sottilizzare: meglio tenersi stretta la concretezza che, almeno in Italia, mantiene in volata per lo scudetto. Se il Milan incespica, Conte deve farsi trovare pronto. Senza trascurare la Juve, come la storia insegna.
VOLÉE DI ROVESCIO