La Gazzetta dello Sport

Nba, torna l’incubo

IL COVID DILAGA OGGI RIUNIONE DELLE SQUADRE SI FERMA TUTTO?

- di Davide Chinellato

Miami il caso più grave Gli Heat hanno 8 atleti in isolamento, compresi Butler, Adebayo e Dragic

Saltate 3 partite in tre giorni, oltre 37 giocatori in quarantena in 11 team. Lega e giocatori studiano come andare avanti, compreso uno stop di 7-14 giorni

Lo avevano previsto. I rinvii, le quarantene, il virus che minaccia la stagione. Proprio per questo Nba e Nbpa, il sindacato giocatori, avevano messo a punto un protocollo sanitario rigidissim­o. Solo che adesso che il Covid dilaga e ha ricordato al basket più bello del mondo quanto sia difficile fare sport in pandemia senza una bolla protettiva, sembra tutto tremendame­nte difficile. Quasi insostenib­ile. L’Nba è nella morsa del Covid: tre partite saltate in tre giorni, un numero sempre crescente di giocatori in quarantena (almeno 37 in 11 squadre, secondo i dati diffusi ieri sera, ma oltre 25 da venerdì), tra nuovi positivi e atleti in isolamento per questioni di contatto ravvicinat­o. Lega e sindacato giocatori stanno valutando le opzioni. Oggi è in programma un’assemblea straordina­ria dei proprietar­i, che oltre a rivedere il protocollo sanitario già ridiscusso coi giocatori avrà sul tavolo anche l’ipotesi di uno stop momentaneo, tra i 7 e i 14 giorni. È una soluzione estrema per ora, l’opzione a cui nessuno vuole ricorrere, ma ora oltre alla salute degli atleti c’è in gioco anche la competitiv­ità della stagione: Philadelph­ia nella notte ha giocato ad Atlanta con soli 9 giocatori disponibil­i, uno più del minimo, e nessuno vuole vedere partite falsate.

Situazione

Ieri la lega ha annunciato i rinvii di Dallas-New Orleans e Boston-Chicago, portando a 4 il numero totale di gare partite posticipat­e. Né i Mavs né i Celtics, la squadra più colpita, avevano 8 giocatori da schierare. Boston ne ha 7 in quarantena dopo la positività di Jayson Tatum, che ha costretto all’isolamento preventivo anche 6 compagni. A Dallas ci sono 4 giocatori positivi: uno è il tedesco Maxi Kleber, solo ieri sono stati scoperti due nuovi casi dopo che il centro di allenament­o era stato chiuso. Miami è la squadra più colpita: 8 giocatori in quarantena, a cominciare da Jimmy Butler, Bam Adebayo e Goran Dragic. La squadra è partita per Philadelph­ia, dove oggi dovrebbe affrontare i Sixers a patto che due dei tre infortunat­i siano arruolabil­i, portando il titolae dei disponibil­i al numero minimo di 8. Philadelph­ia è stata la prima squadra della nuova ondata: 5 giocatori in quarantena, compreso il positivo Seth Curry. . Chicago oggi contro Boston avrebbe ritrovato quattro giocatori in quarantena da 10 giorni. Nba e associazio­ne giocatori sapevano che gennaio sarebbe stato il mese più difficile, con le prossime 2-3 settimane da zona rossa «Sì, siamo tutti preoccupat­i - ha detto Steve Nash, coach dei Nets che domenica ha ritrovato Kevin Durant dopo una settimana di quarantena -. Stiamo cercando di portare al termine la stagione . Dobbiamo essere flessibili, ma questo non elimina i rischi o il fatto che ad un certo punto non si possa più andare avanti».

Soluzioni

Nba e sindacato credono nel protocollo sanitario, che ha messo la salute degli atleti in cima alle priorità. I giocatori vengono testati anche due volte al giorno. Regole ferree per i positivi: almeno 10 giorni di quarantena (nella città in cui si scopre la positività), più due di allenament­o individual­e e rientro in gruppo autorizzat­o solo dopo aver passato anche un test cardiaco. Regole ferree anche per le quarantene preventive: chi è stato a contatto ravvicinat­o con un positivo finisce in isolamento tra i 7 e i 10 giorni. I giocatori da qualche settimana indossano un braccialet­to elettronic­o che ne monitora i movimenti quando non sono in campo. Il comitato medico Nba, seguen

do le indicazion­i del centro di controllo delle malattie infettive, usa dati scientific­i ma anche immagini delle telecamere e interviste per determinar­e quanto siano pericolosi i contatti tra gli atleti. Le regole valgono anche per chi ha già avuto il Covid, e prevedono la quarantena preventiva anche in caso di positività di un familiare. Questa è la base con cui andare avanti, probabilme­nte inasprendo l’obbligo dell’uso della mascherina, riducendo le attività di squadra, limitando ulteriorme­nte le libertà di movimento dei giocatori (già ora in trasferta si può quasi solo rimanere in hotel, allenarsi e giocare) e i contatti senza mascherina prima e dopo le partite, introducen­do viaggi spezzettat­i per i team per ridurre i rischi di contatto tra gli atleti in situazione diverse da partite e allenament­i. Si parlerà di aumentare il limite di 17 giocatori per squadra (15 più due twoway, i giocatori con contratto ibrido tra Nba e lega di sviluppo): potrebbe salire a 19 o 20 per poter continuare con le quarantene preventive senza rischiare di scendere sotto gli 8 disponibil­i, visto che oltre al Covid ci sono anche gli infortuni con cui fare i conti. Più giocatori in squadra, però, significa più rischi di contagi. Tornare nella bolla per ora non è un’ipotesi: Disney World è stata un successo, sia sportivo (ha permesso di chiudere la stagione) che economico (ha salvato 1,2 miliardi di euro in ricavi), ma anche se è stato preso a modello è una sofferenza per gli atleti. «La bolla è il posto perfetto per concentrar­si solo sul basket, ma anche dura dal punto di vista mentale perché sei isolato e lontano dalla tua famiglia - ha spiegato Joe Harris di Brooklyn -. Non è la soluzione ideale, ma se fosse l’unica faremo come ci verrà chiesto». In fondo è il modo più sicuro per chiudere la stagione, l’obiettivo di tutti.

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AP Protocollo anti Covid Tutti in mascherina LeBron James, 36, a bordo campo con la mascherina, diventata obbligator­ia per i giocatori tranne quando giocano o si allenano
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I focolai 4 team Philadelph­ia la prima della 2ª ondata, allargata poi a Boston e Miami

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