Inter e Juve, prove generali di una partita su tanti campi
Con il massimo rispetto della Coppa Italia, e di impegni da onorare, Inter e Juve vivono queste sfide infrasettimanali come tappe di trasferimento verso lo strappo di domenica a San Siro. Un impegno di montagna, il faccia a faccia, per restare in scia del Milan, impegnato nella scalata al titolo di inverno. Conte e Pirlo sanno bene che i conti si fanno alla fine - i purosangue si vedono al palo, come ama dire Marcello Lippi - ma non possono ignorare i mille rivoli, anche psicologici, di una sfida così importante, elettrizzante. L’Inter non può sbagliare, dopo aver lasciato cinque punti in due partite alla concorrente. Altrettanto però si può dire della Juve, che ha bisogno di ulteriori conferme per riappropriarsi del suo ruolo. Il ruolo, dopo nove scudetti consecutivi, di protagonista assoluta.
È altrettanto evidente che di Inter-Juve si possa dire tutto e, in fondo, si sta dicendo tutto. Il confronto tra Antonio Conte e il “suo” calciatore di riferimento in bianconero, Andrea Pirlo. Lo scontro tra Ronaldo e Lukaku, con il loro modo così lontano, e ugualmente decisivo, di stare in campo e di orientare le fortune delle loro squadre: la classe portoghese, la forza d’urto del rivale. E poi l’assenza di De Ligt, strutturalmente l’avversario ideale per il centravanti nerazzurro, quella di Dybala, che lo scorso anno timbrò entrambe le partite. La filosofia, così distante, di due squadre che riflettono - fino a specchiarsi in maniera nitida il profilo dei due tecnici. Un’Inter tosta, pratica, concreta, autorevole, complessa nella sua facilità di fare calcio, com’era appunto Conte calciatore. Una Juve più leggera, effervescente, elegante, tecnica, imprevedibile per gli altri e non per l’interessato, com’era appunto Pirlo calciatore. Due rose di primissimo livello, se l’Inter - al netto delle discusse e discutibili sostituzioni contro la Roma - ha tenuto comunque lì, in panchina, giocatori come Sanchez, Eriksen o Sensi. Altrettanto si può dire naturalmente della Juve che, contro il Sassuolo costretta a rinunciare a De Ligt, Alex Sandro e Cuadrado - ha sganciato in corsa gente come Kulusevski, Bernardeschi, Rabiot e Morata. Insomma, un’altra squadra di altissimo profilo, più che competitiva per la corsa al vertice. Ma Inter-Juve è anche - e verrebbe da dire soprattutto - la conferma della strada che ha imboccato il nostro
calcio. Perché se il Milan fa da capoclasse nella caccia ai giovani, lasciando a Ibrahimovic il ruolo di far crescere un po’ tutti, altrettanto si può dire naturalmente della Juve e, con il contrappeso di giocatori svincolati a costo zero, anche dell’Inter. Che ha sì ingaggiato Kolarov, Vidal, Sanchez - spendendo soltanto per l’ingaggio - ma ha continuato a fare investimenti veri soltanto per giovani talenti. È suo Agoumé, perno dello Spezia che ha battuto anche Napoli e Sampdoria; è suo Salcedo, in prestito al Verona dei “miracoli”: giovani mandati come Gabriel Brazao, Esposito e presto Pinamonti a fare l’esperienza necessaria. Scegliendo nel frattempo il meglio in giro per l’Europa: così, accanto a Bastoni, Sensi, Barella, Lautaro, è arrivato Hakimi, travolgente e decisivo, straripante nella sua freschezza. Che, sull’altra fascia, giocherà il suo slalom parallelo di esuberanza e progressione con Federico Chiesa. Perché, e non è un modo di dire, Inter e Juve si giocano il futuro, oltre al presente.