La Gazzetta dello Sport

«AVEVO DOLORI OGNI 5 MINUTI, LA SCHIENA A PEZZI ORA STO MEGLIO E GUARDO AL GIRO»

Il colombiano re del Tour 2019 e il 2020 da dimenticar­e: «Non riuscivo a stare in piedi. Correre in Italia è la mia prima opzione»

- di Ciro Scognamigl­io

Tra la fine di luglio del 2019 e la metà di settembre 2020 ballano neanche 14 mesi. Non tantissimi, ma abbastanza per far cambiare drasticame­nte la prospettiv­a di Egan Bernal. Signore in giallo ad appena 22 anni e mezzo, primo colombiano della storia a vincere il Tour de France, e poi respinto all’assalto successivo da campione in carica, costretto al ritiro a 5 tappe dalla fine tra problemi fisici e dubbi quando era già lontano quasi 20’ dal bis. «Sono arrivato al punto che avevo dolore ogni 5’», rivela alla Gazzetta lo scalatore di Ineos Grenadiers svezzato ciclistica­mente dall’Italia e nato nello stesso giorno di Pantani: mercoledì ha compiuto 24 anni e dalla Colombia racconta sensazioni e progetti – compresa la volontà di debuttare al Giro - confermand­o una volta di più quanto sia legato al nostro paese. A cominciare dal suo manager, il biellese Giuseppe Acquadro, che ora ha preso a chiamare affettuosa­mente “nonno”.

Egan, attraverso i social abbiamo visto che ha chiuso il 2020 con uno dei suoi allenament­i ribattezza­ti “Apocalisse”: il 31 dicembre, 274,8 km con 2.845 metri di dislivello, 7 ore e 10 in sella a 38,3 km di media. Questo significa che il peggio è passato?

«Va molto meglio. Mi sento bene, sono super-motivato. Ormai sono quasi 4 mesi che non gareggio, conto di ricomincia­re a inizio febbraio (ai campionati colombiani o alla Valenciana n.d.r.) anche se non potrò essere al massimo. Sì, ciò che conta è aver ritrovato gli stimoli migliori per poter competere al massimo livello».

Ritrovato, dice. Vuol dire che li aveva persi?

«Sa, non ho potuto neppure concludere il Tour. Ritirarmi nell’ultima settimana con il numero 1 per problemi fisici... è stato duro, complicato. Ma la schiena non mi dava più tregua. Abbandonar­e non mi è andato giù. Passare dal vincere a non arrivare a Parigi: sapevo che avrei avuto davanti un periodo lungo di recupero. Si pensava anche a una operazione, opzione poi scartata».

E’ stato facile trovare una soluzione?

«Sono stato in Germania, Inghilterr­a, Francia, Spagna. Ho fatto esami e sentito pareri diversi. A un certo punto non stavo in piedi più di 5’ senza avere dolore. E’ stato complicato, ma si sta risolvendo e sto ritornando a sentirmi un ciclista».

Si è letto molto dell’origine di queste noie, e del fatto che lei ha una gamba più lunga dell’altra. E’ vero?

«Sì, è un problema che avevo da tempo. Da quando ho memoria convivo con un dolore alla schiena. Ma non era mai stato così forte come all’ultimo Tour. La gamba più lunga è la sinistra. Quasi 2 centimetri, 1,7. Per questo motivo c’è stata una scoliosi nella colonna vertebrale. Uno dei dischi va contro un nervo che “comanda” il gluteo e la gamba».

Ma comunque sarà un dolore che sparirà del tutto o con il quale dovrà convivere?

«L’idea è quella che si elimini completame­nte, ma sarà un processo lungo».

Nel 2020, ad agosto, non era andato male: primo alla Route d’Occitanie, secondo al Tour de l’Ain...

«Corse brevi, molto esplosive, grande livello. Avevo fatto una preparazio­ne condiziona­ta dal primo lockdown, anche in Colombia è stato molto duro. Tanti rulli, il contrasto con la gara è stato forte e l’infiammazi­one è aumentata molto».

Pensa di avere molti margini di migliorame­nto? Il miglior Egan non si è ancora visto?

«Questo non lo so, perché lo sviluppo di ognuno di noi è differente. Non si può generalizz­are. Di sicuro sto lavorando molto per migliorare, il ciclismo si evolve in maniera rapida, è impression­ante. E allora l’idea non può non essere quella che cercare di fare passi in avanti».

Dica la verità, ha un sentimento di rivalsa per il fatto di essere passato dalle stelle alle stalle? Nel 2019 veniva considerat­o un potenziale vincitore seriale di grande giri, ora è in secondo piano rispetto a Pogacar, Evenepoel...

«Sinceramen­te, no. Sono una persona molto tranquilla. So che il livello nel ciclismo, uno degli sport più duri, è altissimo. Devo competere con i migliori. Ci sono tanti atleti molto, molto forti. E ne arriverann­o altri, è il ciclo della vita. Magari anche da Paesi che ora non immaginiam­o neppure, come la Cina. Io, sempliceme­nte, spero di poter dare il meglio di me. Non posso sapere se basterà per vincere, o se servirà per aiutare altri compagni a trionfare. Ciò che conta è essere felici, appagati».

Ha portato i regali a Natale ai bimbi del suo quartiere di Zipaquirà...

«Sono cose che riempiono il cuore. Faccio il ciclista di mestiere, ma non dimentico di essere un figlio, un fratello, un familiare. Se posso dare una mano, ci sono. Non esiste solo la bici, serve un equilibrio».

E’ presto per parlare di programmi anche a causa della pandemia, ma ci dica: c’è la possibilit­à di vederla debuttare al Giro d’Italia?

«Beh, mi piacerebbe molto. Vorrei esserci, sì. Di recente, in una intervista che ho fatto in Colombia, è apparso il concetto che mi sto preparando per il Tour. Ma nel calendario il Giro viene prima e nella mia testa l’opzione numero uno è essere al via. Sarebbe speciale. Non so se avrò la condizione di andarci da leader del team, oppure per aiutare i compagni, un capitano che vada più forte di me. Non significa però che la cosa sia decisa: dobbiamo definirlo con la squadra e bisogna vedere come procederà il mio recupero».

Doveva esserci nel 2019, si ricorda?

«Certo. Poi mi ero infortunat­o non troppo prima del via, frattura di una clavicola, a inizio maggio. Mi è rimasto quel desiderio. In Italia ho passato anni molto belli e ho tanti amici».

La pandemia ha colpito forte anche in Colombia. Lei vede la luce alla fine del tunnel?

«Spero possa succedere grazie al vaccino. E’ fondamenta­le che sia accessibil­e a tutti, che ogni persona sulla terra abbia il diritto di poterlo fare».

Chiudiamo con una curiosità: suo fratello minore Ronald sembrava fosse pronto a venire in Europa per diventare un ciclista profession­ista come lei.

«Beh, ora no di sicuro. Ha 15 anni ed è troppo presto. Molto difficile capire dove possa arrivare, ma per quello che vedo potrà essere un buon corridore. La cosa più importante è che si diverta in quello che fa».

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Egan Bernal, 24 anni. Dall’alto: il trionfo al Tour 2019, quello al Gran Piemonte e in azione alla Boucle 2020
BETTINI Fuoriclass­e Egan Bernal, 24 anni. Dall’alto: il trionfo al Tour 2019, quello al Gran Piemonte e in azione alla Boucle 2020

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