50 sfumature di bianconerazzurro
ROMANZO ITALIANO E ALBUM DI FAMIGLIE INTER-JUVE È LA STORIA DEL PAESE
Inter-Juventus è un romanzo italiano. È un album di famiglia, anzi di famiglie, i Moratti e gli Agnelli. È l’eterno confronto tra Milano e Torino, con la seconda che ha fatto l’Italia e la prima che ne è subito diventata il centro propulsore. È la sfida industriale degli anni CinquantaSessanta-Settanta , tra la grande cintura delle fabbriche che circondavano il Duomo – Falck, Breda, Pirelli – e la Fiat che aveva tramutato Torino nella Detroit d’Europa. È l’orgoglio della borghesia meneghina: volitiva, trasversale nei suoi interessi economici, dalla vocazione europea. Ed è la forza della più longeva dynasty di casa nostra, i Kennedy italiani, che hanno saputo traghettarsi nella modernità, creando un vortice positivo che ha trasformato, in meglio, anche la loro città.
Gioco di opposti
Troppo per una partita di calcio? Può darsi, forse la portata dell’evento sportivo ci spinge a dilatarne i confini oltre i suoi limiti naturali. Però la tentazione è forte e invita al gioco degli opposti, interismo e juventinità, il Biscione e la Zebra, il derby d’Italia di Gianni Brera visto attraverso cinquanta sfumature di nerazzurro e altrettante di bianconero. E siccome, appunto, di gioco parliamo, c’è dentro di tutto: uomini (e che uomini), donne (e che donne), stili inconfondibili, simboli, luoghi geografici e dell’anima, icone di ieri, oggi e domani. Con una premessa: siccome resta sempre un gioco, alla fine sia lo sterminato tifo bianconero sia quello interista, pure imponente, hanno come caratteristica la trasversalità. Per dire, l’Avvocato stava con Palmiro Togliatti e l’operaio di Mirafiori...
Gli Anni Sessanta
Ma certo se si pensa a un orologio portato con nonchalance sopra il polsino della camicia, o agli scarponcini scamosciati, o alla barca a vela non puoi che associarli a Gianni Agnelli: stile inconfondibile, oggetto, come la
Settimana enigmistica, d’innumerevoli tentativi d’imitazione. È lui l’essenza della juventinità, unitamente a Giampiero Boniperti e alla sua insaziabile voglia di vincere, che in campo trasmetteva al genio fumantino di Omar Sivori e che, da presidente, intuì in Alessandro Del Piero. Di là, c’erano l’ironia e le battute micidiali di un altro avvocato, Peppino Prisco, interista per sempre, come per sempre lo sarà la famiglia Moratti, cui i tifosi della Beneamata devono tanti dei loro ricordi più belli. Favolosi anni Sessanta, con il mago Helenio Herrera e la borghesia di Milano che sfilava in smoking alla Scala del Piermarini e in cappotto di cammello nella tribuna della Scala del calcio. Mina, gran tifosa interista, incantava alla Bussola (sotto gli occhi anche dell’Avvocato, che alla Versilia legò la sua giovinezza), la simpatia travolgente di Gino Bramieri, cuore nerazzurro, conquistava teatri e tv, al pari di Johnny Dorelli, collezionista di festival di Sanremo, mentre si faceva largo, partendo da via Gluck, Adriano Celentano. Dall’altra parte, rispondeva lo juventinissimo Mike Bongiorno, sinonimo di storia della nostra televisione. Fred Buscaglione, lui, se ne sarebbe andato via troppo presto. Intanto le importanti famiglie interiste si davano appuntamento nelle residenze del Lago Maggiore, sponda lombarda, o del Lago di Como, magari per una gita sui motoscafi Riva Junior, dove il mogano era il principe dei materiali. Mentre da Torino si inseguiva il brivido d’incrociare l’Avvocato spostandosi sulle nevi del Sestriere, la montagna degli Agnelli, indossando oltre agli sci anche occhialoni scuri nel tentativo, impossibile, d’assomigliargli.
Tempi moderni
In macchina , i “cumenda” interisti viaggiavano in Alfa Romeo, l’Anonima lombarda fabbrica automobili, che aveva sede al Portello: lì oggi svettano grattacieli in cui il Milan ha la propria sede… A Torino, invece, erano di rigore le Fiat, che avevano motorizzato l’Italia in modo orizzontale e verticale. Vennero poi gli Anni Settanta, quelli della Vecchia Signora, della 131 e di Raffaella Carrà. Gli interisti rimasero a lungo a digiuno e raccolsero poco, più tardi persino l’Alfa venne assorbita dalla Fiat… Ma quando tornarono a festeggiare, lo fecero alla grande, con l’Inter dei record del Trap (ex gloria juventina…), fiore all’occhiello di Ernesto Pellegrini. La Juve, però, non può mai stare troppo senza vincere. Umberto Agnelli la riportò in alto, con la “trimurti” composta da Luciano Moggi – che aveva da “Urbani” il covo del dopo-partita – Antonio Giraudo e Roberto Bettega e la guida sicura di Marcello Lippi. Nel frattempo, a Milano erano tornati i Moratti, con Massimo stavolta. Che come il papà Angelo dovette aspettare per vincere, ma quando cominciò non si fermò più. “Calciopoli” inasprì la rivalità, l’Inter — con la Pirelli di Marco Tronchetti Provera stampata sul petto — visse il quinquennio d’oro, culminato con l’apoteosi del Triplete 2010 targato Mourinho. Le sue armate s’ingrossarono: artisti, cantanti, intellettuali e politici di tutte le estrazioni. Ma di là, il tifo e la fede bianconeri risposero colpo su colpo, orgoglio contro orgoglio. Risultato: dopo la discesa agli inferi (Serie B) e la ricostruzione, da nove campionati esiste solo un colore. Ecco la “vendetta” di Andrea Agnelli. Ora l’Inter ritenta l’attacco al potere (Milan permettendo…): Vecchia Signora e Pazza Inter: due stili di vita, due modi di stare dentro il mondo. Che senza di loro sarebbe più povero.