La Gazzetta dello Sport

Nonno Dakar Picco da leggenda L’ha finita a 65 anni «E poi sì, ho pianto»

Non volevano iscriverlo: troppo anziano Ha chiuso 43° senza assistenza tecnica

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Non riesco a salire in moto senza cavalletto. E alla prima tappa l’avevo già rotto...

In una tappa mi sono perso. Ho sofferto il freddo. Il segreto? Le lezioni di guida a mio figlio...

«Quando è finita, mi è venuto da piangere». Nel momento di presentare la domanda di iscrizione, gli organizzat­ori dell’A.S.O. avevano fatto resistenza. Va bene il palmarès, ok l’esperienza, ma quel 1955 come anno di nascita che lo rendeva il più vecchio al via, aveva reso tutti cauti. Perché la Dakar, al di là del fascino infinito è una corsa massacrant­e, con la caduta e l’incidente come pane quotidiano al tavolo dei piloti. Però Franco Picco aveva tenuto duro, e quando è arrivato l’ok, ha chiesto il numero 65. «Così, per evitare di dimenticar­mi quanti anno ho. Anche se la mia età me la ricordo fin troppo, e allora a volte chiudo un po’ il gas» ride questo vicentino dalla faccia buona e dall’andatura altalenant­e che lo fa sembrare un marinaio. E che, a distanza di 36 anni dalla prima («Ma era una Dakar completame­nte diversa, guardavi sulla cartina la via più breve tra le oasi e partivi, ora senza GPS sei perso»), ha affrontato l’ennesima sfida, 7 mila e passa chilometri nella categoria più dura, quella che Fabrizio Meoni chiamava «la Dakar dei veri eroi», la “Original by Motul”, ovvero dei piloti senza assistenza. Il necessario per affrontare le due settimane di gara chiuso in una cassa, attrezzi, pezzi di ricambio, tenda, sacco a pelo, vestiti («La cosa che ho sofferto è stato il freddo nei trasferime­nti»), senza contare sull’aiuto di nessuno quando all’arrivo nel bivacco si tratta di smontare e rimontare la moto.

Due all’arrivo

Stephane Peterhanse­l ha vinto in auto per la 14a volta la Dakar, a 30 anni dalla prima in moto. Era il 1991, primo anno della Dakar senza Picco, che nella corsa ideata da Thierry Sabine aveva debuttato alla grande nel 1985, 3° da ufficiale Yamaha alle spalle di Gaston Rahier (Bmw) e Jean Claude Olivier (Yamaha), prima di migliorars­i un po’, 2° dietro le

Honda di Edi Orioli nel 1988 e Gilles Lalay l’anno dopo. Poi era stato il tempo delle auto, ma senza acuti, prima di tornare in sella nel 2010 in Sud America, 23° assoluto ma 1° nella classe Marathon. Nel 2016, la 13a apparizion­e era stata in quad, regalo per i 60 anni, ancora la moto nel 2017, prima di tornare alle origini, ovvero i deserti dell’Africa Eco Race. Ma con la gara cancellata causa Covid, ecco rispuntare l’idea Dakar. «E siccome tra farlo in gara o come assistenza questo è stato il mio 29° rally raid, arrivare a 30...». Dei 9 italiani iscritti alla gara moto, ne sono arrivati 2, col dispiacere di avere perso Maurizio Gerini quando era in testa nella “Original”

per una caduta nella 8a tappa che gli ha causato la rottura della milza. A vincere la sfida tricolore è stato Cesare Zacchetti (KTM), 38°, ma Picco, con l’Husqvarna vecchia di due anni fa ex Gerini, non è finito lontano, ottimo 43°. «Però è stata dura, ho subito un paio di colpi, ho quasi mollato, come quando nel trasferime­nto prima della 10a speciale mi sono perso, sono dovuto tornare indietro a tutta velocità per una quarantina di chilometri con la paura di finire la benzina e cuocendo la mousse: per fortuna era una tappa di sabbia e ho salvato la gomma, ma ero già rassegnato. Ho visto paesaggi bellissimi, ma siccome è la Dakar, come sempre gli organizzat­ori sono andati a cercare passaggi anche troppo complicati, ho fatto pietraie infinite in mezzo ai canyon, passaggi da trial. L’esperienza ha fatto la differenza. La gioventù ha la manetta, ma nelle condizioni giuste so ancora andare forte, sul veloce ne passo tanti, poi sul misto sto attento a non cadere».

Grazie Tommaso

Affrontare una Dakar non è facile. A 65 anni ancora meno. «Tanto per capire: l’Husqvarna ha il cavalletto fragile, ma se non salgo sulla moto da fermo non ci riesco, non apro più le gambe come una ballerina. Pronti via e alla partenza della prima speciale l’ho rotto subito». E se poi aggiungiam­o che la pandemia da un anno ha azzerato tutto... «La mia fortuna è mio figlio Tommaso, a cui sto insegnando ad andare in moto. Tenetelo voi in casa un ragazzo di 17 anni durante il lockdown. Appena potevamo, scappavamo a girare in un crossodrom­o vicino casa. Non è stato il solito allenament­o nel deserto, ma sono arrivato preparato. E siccome gli sta venendo la voglia, chissà che in futuro... Ma prima deve sgrezzarsi, i giovani oggi sono mollicini». Ma “nonno” Picco saprà essere un gran maestro.

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L’età
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Gli ostacoli

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