NOLE suona la nona
DJOKOVIC SEMPRE RE TRAVOLTO MEDVEDEV «ORA IL RECORD DI SLAM»
A Melbourne 9° trionfo: il 18° nei Major, a -2 da Federer e Nadal. «Finché ci saranno loro, ci sarò anche io...»
Puoi regalare capolavori al mondo e farti aprire le porte del paradiso delle leggende con uno spartito tra le dita oppure tenendo in mano una racchetta. La Nona Sinfonia di Djokovic in Australia, più che un inno alla gioia, è l’esecuzione rabbiosa e incontenibile di un campione immortale, uscito da un mese di pressioni e polemiche con la potenza rigenerante di una forza mentale e tecnica senza uguali. Povero Medvedev, nuovo vessillifero di una generazione che vorrebbe liberarsi una volta per tutte dall’abbraccio mortale dei Magnifici Tre e invece finisce stritolata ancora e sempre quando il momento conta di più: Daniil è un’altra vittima dell’inestinguibile sete di vittoria di un fenomeno dalle mille vite e dalle mille soluzioni tattiche. Non è ancora matura l’ora della rivoluzione e lo sconsolato Orso russo, travolto in tre set e in meno di due ore dopo una striscia aperta di successi (20) che durava dal 30 ottobre, fotograferà la frustrazione sua e di tutti quelli che hanno avuto la sventura di incrociare il trio più forte di ogni epoca con una parola che guardacaso viene dal futuro: «Nole, Nadal e Federer sono dei cyborg».
Il campo di casa
Il Djoker non era mai arrivato a una finale dello Slam dopo aver perso cinque set per strada, ma esorcizzata la paura di un’eliminazione precoce al terzo turno contro Fritz, alimentata da un infortunio agli addominali per un po’ avvolto dal mistero anche per scelta personale («Era uno strappo e molti hanno parlato senza conoscere i fatti, ma ne saprete di più quando uscirà il mio documentario a finon anno»), ha ritrovato la ferocia del guerriero imbattibile. La finale dura in pratica 20 minuti, il tempo per Medvedev di recuperare da 0-3 e fino al 5-5 del primo set: da quel momento, Daniil perderà cinque turni di servizio su sei uscendo completamente dal campo, annichilito dalla risposta del numero uno, la chiave di volta del dominio più ancora della sua battuta, che invece lo aveva portato fin qui in pompa magna. La Rod Laver Arena resta perciò il giardino di casa Djokovic, l’eden delle nove vittorie su nove finali, secondo nei successi singoli in uno Slam dopo Nadal e i suoi 13 Roland Garros, un feeling che è stato incrinato neppure dalle condizioni decisamente straordinarie in cui i giocatori hanno preparato l’appuntamento: «È stato lo Slam più impegnativo della mia vita: l’infortunio, la quarantena, le condizioni in generale. Non sono l’unico che ha sperimentato tutto questo, perciò non mi posso lamentare, ma non c’è dubbio che ci sono stati tanti ostane
coli da superare. All’inizio non ci sentivamo così ben accolti in Australia». Caccia aperta
Ma alla fine del percorso è arrivato il premio più ambito e glorioso, il 18° Slam, che riduce a -2 le distanze da Federer e Nadal, in una corsa al primato nei Major che sta comunque segnando la storia dello sport: «Roger e Rafa mi ispirano, l’ho sempre detto. Penso che finché ci sono loro, ci sarò anch’io, è una competizione tra noi. Ma questo è il motivo per cui siamo ciò che siamo, ci spingiamo al limite a vicenda». Una caccia affascinante, cui Nole oggi si iscrive con argomenti forse più convincenti dei grandi rivali: «Non mi sento vecchio o stanco, o cose del genere. Però capisco che da adesso in poi ogni Slam sarà sempre più duro, ci saranno nuovi avversari molto forti e molto affamati, come lo eravamo io, Nadal e Federer 10 o 15 anni fa. Dovrò fare sempre più attenzione al mio programma e renderlo il più intelligente possibile, dando la priorità ai Major. Ora che supererò il primato di settimane in vetta al ranking (311 contro le 310 di Roger, accadrà l’8 marzo, ndr) potrò concentrarmi solo sul record degli Slam e questo forse mi aiuterà a selezionare gli obiettivi». Fenomeni disumani e senza tempo, che ti prosciugano le energie prima ancora di scendere in campo, con l’aura personale e il carisma, con la prepotenza tecnica affinata dall’esperienza. Medvedev sembrava l’uomo giusto al momento giusto per provare a regalare al tennis un mondo nuovo, perché in fondo aveva già giocato una finale degli Us Open contro Nadal perdendola per un’incollatura, eppure una volta di più non ha superato lo stress test: «Quando vado in campo, anche contro i Big Three, voglio sempre vincere. Ma loro sono qualcosa di speciale. Pensate che Djokovic ha vinto nove volte a Melbourne, significa che io per fare altrettanto dovrei vincere sempre il torneo fino a quando avrò 34 anni. Oppure pensate alle 13 volte di Rafa a Parigi... Sono cifre assurde, come si fa a non pensare che siano i tre più forti della storia del tennis?». E il problema, per gli altri, è che la fine dei dominatori sembra ancora lontana, come Nole puntualizza con un certo sarcasmo: «Tutti parlano della nuova generazione che verrà e conquisterà il palcoscenico, ma realisticamente ciò non sta ancora accadendo. Con tutto il rispetto per loro, hanno molta strada da fare. E io non starò certo qui fermo a consegnarmi a loro. Dovranno farsi il mazzo». Il più semplice dei segreti.