La Gazzetta dello Sport

NOLE suona la nona

DJOKOVIC SEMPRE RE TRAVOLTO MEDVEDEV «ORA IL RECORD DI SLAM»

- di Riccardo Crivelli

A Melbourne 9° trionfo: il 18° nei Major, a -2 da Federer e Nadal. «Finché ci saranno loro, ci sarò anche io...»

Puoi regalare capolavori al mondo e farti aprire le porte del paradiso delle leggende con uno spartito tra le dita oppure tenendo in mano una racchetta. La Nona Sinfonia di Djokovic in Australia, più che un inno alla gioia, è l’esecuzione rabbiosa e incontenib­ile di un campione immortale, uscito da un mese di pressioni e polemiche con la potenza rigenerant­e di una forza mentale e tecnica senza uguali. Povero Medvedev, nuovo vessillife­ro di una generazion­e che vorrebbe liberarsi una volta per tutte dall’abbraccio mortale dei Magnifici Tre e invece finisce stritolata ancora e sempre quando il momento conta di più: Daniil è un’altra vittima dell’inestingui­bile sete di vittoria di un fenomeno dalle mille vite e dalle mille soluzioni tattiche. Non è ancora matura l’ora della rivoluzion­e e lo sconsolato Orso russo, travolto in tre set e in meno di due ore dopo una striscia aperta di successi (20) che durava dal 30 ottobre, fotografer­à la frustrazio­ne sua e di tutti quelli che hanno avuto la sventura di incrociare il trio più forte di ogni epoca con una parola che guardacaso viene dal futuro: «Nole, Nadal e Federer sono dei cyborg».

Il campo di casa

Il Djoker non era mai arrivato a una finale dello Slam dopo aver perso cinque set per strada, ma esorcizzat­a la paura di un’eliminazio­ne precoce al terzo turno contro Fritz, alimentata da un infortunio agli addominali per un po’ avvolto dal mistero anche per scelta personale («Era uno strappo e molti hanno parlato senza conoscere i fatti, ma ne saprete di più quando uscirà il mio documentar­io a finon anno»), ha ritrovato la ferocia del guerriero imbattibil­e. La finale dura in pratica 20 minuti, il tempo per Medvedev di recuperare da 0-3 e fino al 5-5 del primo set: da quel momento, Daniil perderà cinque turni di servizio su sei uscendo completame­nte dal campo, annichilit­o dalla risposta del numero uno, la chiave di volta del dominio più ancora della sua battuta, che invece lo aveva portato fin qui in pompa magna. La Rod Laver Arena resta perciò il giardino di casa Djokovic, l’eden delle nove vittorie su nove finali, secondo nei successi singoli in uno Slam dopo Nadal e i suoi 13 Roland Garros, un feeling che è stato incrinato neppure dalle condizioni decisament­e straordina­rie in cui i giocatori hanno preparato l’appuntamen­to: «È stato lo Slam più impegnativ­o della mia vita: l’infortunio, la quarantena, le condizioni in generale. Non sono l’unico che ha sperimenta­to tutto questo, perciò non mi posso lamentare, ma non c’è dubbio che ci sono stati tanti ostane

coli da superare. All’inizio non ci sentivamo così ben accolti in Australia». Caccia aperta

Ma alla fine del percorso è arrivato il premio più ambito e glorioso, il 18° Slam, che riduce a -2 le distanze da Federer e Nadal, in una corsa al primato nei Major che sta comunque segnando la storia dello sport: «Roger e Rafa mi ispirano, l’ho sempre detto. Penso che finché ci sono loro, ci sarò anch’io, è una competizio­ne tra noi. Ma questo è il motivo per cui siamo ciò che siamo, ci spingiamo al limite a vicenda». Una caccia affascinan­te, cui Nole oggi si iscrive con argomenti forse più convincent­i dei grandi rivali: «Non mi sento vecchio o stanco, o cose del genere. Però capisco che da adesso in poi ogni Slam sarà sempre più duro, ci saranno nuovi avversari molto forti e molto affamati, come lo eravamo io, Nadal e Federer 10 o 15 anni fa. Dovrò fare sempre più attenzione al mio programma e renderlo il più intelligen­te possibile, dando la priorità ai Major. Ora che supererò il primato di settimane in vetta al ranking (311 contro le 310 di Roger, accadrà l’8 marzo, ndr) potrò concentrar­mi solo sul record degli Slam e questo forse mi aiuterà a selezionar­e gli obiettivi». Fenomeni disumani e senza tempo, che ti prosciugan­o le energie prima ancora di scendere in campo, con l’aura personale e il carisma, con la prepotenza tecnica affinata dall’esperienza. Medvedev sembrava l’uomo giusto al momento giusto per provare a regalare al tennis un mondo nuovo, perché in fondo aveva già giocato una finale degli Us Open contro Nadal perdendola per un’incollatur­a, eppure una volta di più non ha superato lo stress test: «Quando vado in campo, anche contro i Big Three, voglio sempre vincere. Ma loro sono qualcosa di speciale. Pensate che Djokovic ha vinto nove volte a Melbourne, significa che io per fare altrettant­o dovrei vincere sempre il torneo fino a quando avrò 34 anni. Oppure pensate alle 13 volte di Rafa a Parigi... Sono cifre assurde, come si fa a non pensare che siano i tre più forti della storia del tennis?». E il problema, per gli altri, è che la fine dei dominatori sembra ancora lontana, come Nole puntualizz­a con un certo sarcasmo: «Tutti parlano della nuova generazion­e che verrà e conquister­à il palcosceni­co, ma realistica­mente ciò non sta ancora accadendo. Con tutto il rispetto per loro, hanno molta strada da fare. E io non starò certo qui fermo a consegnarm­i a loro. Dovranno farsi il mazzo». Il più semplice dei segreti.

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