In cima al mondo con Garelli Poi i successi da manager e i dolori per Kato e per il Sic
Dai 2 titoli in 125 all’avventura con Cecchini sul furgone VW Finché chiamò la Honda Brasile...
n quei pochi giorni nei quali non era addormentato, tenuto in coma farmacologico per evitare che il corpo si stressasse troppo e le medicine avessero più effetto, Fausto Gresini è rimasto aggrappato con tenacia, via whatsapp e perfino con qualche videochiamata — il labiale e i gesti della mano per comunicare — a quello che era il suo mondo: la moto. Che da ragazzo gli aveva regalato due Mondiali 125 con la Garelli, un bottino che da team manager si era rimpinguato di altri 4 titoli: Daijiro Kato in 250 nel 2001; Toni Elias, primo iridato Moto2 nel 2010; quindi quelli più recenti di Jorge Martin in Moto3 nel 2018 e Matteo Ferrari in MotoE nel 2019. «In realtà sono 5, c’è il titolo 2004 di Pedrosa in 250, che Fausto non si è mai intestato perché con Dani c’era Alberto Puig. Ma la squadra era la nostra» racconta Fabrizio Cecchini. Ovvero la persona che con Gresini ha vissuto tutta la seconda parte della carriera, e che fino all’ultimo ha sperato che Faustino ce la facesse. Il sopraggiungere di un’emorragia cerebrale è stata invece l’ultima mazzata per un corpo ormai allo stremo. La strada di Fausto si è arrestata così, pochi giorni dopo la presentazione dei suoi team di Moto2 e Moto3. E il Motomondiale perde in maniera drammatica una delle figure più carismatiche: 40 anni da protagonista, prima da pilota — 132 GP, 2 titoli (1985 e 1987), 21 vittorie e 47 podi tutti in 125 — e poi come proprietario del solo team (con la gigante Petronas) presente in tutte le classi, dalla MotoGP, partner dell’Aprilia, alla MotoE. Nel Mondiale aveva corso dal 1982 al 1994, oltre che con Garelli, anche con MBA, Aprilia e Honda, e proprio in quegli anni era nato il legame fortissimo con Loris Capirossi, che diventato suo compagno sulla Honda del team Pileri, lo aveva battuto all’esordio nel 1990 e poi nel 1991, quando i due avevano chiuso davanti a tutti. Le battaglie in pista non avevano scalfito il rapporto, anzi, nel 1999, sempre con una Honda, di Capirex era stato il capo al box, per il 3° posto finale.
ILa telefonata di Cecco
La Gresini Racing esisteva da tre anni, figlia della profonda amicizia nata tra Gresini e Cecchini quando, nel 1993, “Cecco” lavorava con Capirossi in 250. «Nel 1996 creammo un team per far correre nell’Italiano un ragazzino di Cattolica, io ci misi il furgone e l’officina, lui comprò la moto. Che belle quelle trasferte infinite con in sottofondo la musica del Volkswagen 6 cilindri. Per noi era un gioco, finché un giorno la Honda Brasile mi telefonò proponendomi di far correre Alex Barros in 500. Quando misi giù la cornetta, la prima persona che chiamai fu Fausto. Era perplesso, ma si convinse subito. Creò una società con Roberto Bocchi, e io gli promisi che ci sarei stato sempre. Non ci siamo più lasciati».
Le tragedie
Oltre ai tanti successi anche da team manager — 56 vittorie e il titolo MotoGP sfiorato 3 anni di fila, Sete Gibernau nel 2003 e 2004, Marco Melandri nel 2005 —, ci sono state le tragedie che hanno fatto dubitare Fausto. Quella di Kato, che morì contro un muretto di Suzuka per colpa dell’acceleratore della Honda rimasto aperto nella gara inaugurale del Mondiale 2003. E quella di Marco Simoncelli in Malesia, quasi 10 anni fa. Il Sic e Gresini avevano legato immediatamente, in un team che era un bellissimo gruppo di amici, capotecnico Aligi Deganello, che col figlio Elvio aveva seguito
Papà Simoncelli: «Seppe del team e volle esserne socio. Lì capii che persona era»
Marco dai trionfi in 250. «Fausto mi sorprese quando, saputo che creavo una squadra, mi chiese di esserne socio, anche solo all’1%. Voleva far parte del team che portava il nome di Marco. Lì capii che persona fosse» racconta Paolo Simoncelli. «Quando vieni a trovarmi in hospitality per un caffé, che facciamo due chiacchiere?». L’invito — mentre teneva entrambe le mani appoggiate sulle nostre spalle, in un gesto che si avvicinava quanto più a un abbraccio — arrivava ogni volta che Gresini ci incrociava nel paddock. Ci mancheranno, quei caffè.