Oggi alle 16 su Rai2 nasce il Giro d’Italia
Il re del Tour, simbolo degli Emirati, batte Yates sulla salita più dura. E con la squadra, già vaccinata, rilancia la mobilità sostenibile
(Il Trofeo senza Fine che spetta al vincitore della corsa rosa)
Il successo di Tadej Pogacar in vetta a Jebel Hafeet, ormai tradizionale arrivo in quota dell’Uae Tour (ieri era la terza tappa), ha significato diverse cose assieme. In ordine sparso: è stato il primo, per il 22enne sloveno della Uae-Emirates leader della gara, da quando nel settembre scorso era diventato il 2° vincitore del Tour più giovane di sempre. È stato il primo di un ciclista di alto livello vaccinato contro il Covid-19: il team di Mauro Gianetti ha utilizzato la soluzione cinese di Sinopharm contro la pandemia. Non è stato il primo invece per Tadej sulla ‘montagna vuota’ (tradizione italiana del nome arabo) paradiso della biodiversità locale, vicina al confine tra Emirati Arabi e Oman: aveva già trionfato sullo stesso arrivo nel 2020 e l’ha scalata spesso pure in ritiro. «Ho risposto a tutti gli attacchi – dice la maglia rossa, che ha avuto la meglio su un più che combattivo Adam Yates – e sapevo come interpretare il finale. Bisognava entrare in testa alle ultime due curve. Volevamo vincere, ci siamo riusciti».
Economia
Le ultime cinque parole non sono di circostanza, anche se a una prima superficiale analisi possono sembrarlo. Per la UaeEmirates questa è la corsa di casa e come conferma il general manager Mauro Gianetti «i ragazzi sentono la responsabilità di rappresentare questo Paese. Dietro al team c’è il progetto di aumentare la mobilità sostenibile, negli ultimi anni tantissime persone qui hanno cominciato a pedalare. E nella breve storia degli Emirati, 50 anni, la vittoria al Tour di Tadej è stato il risultato sportivo più alto». Il suo volto è stato proiettato sia sul Burj Khalifa, il grattacielo di
Dubai più alto del mondo (sfiora gli 830 metri), sia sulla torre Adnoc di Abu Dhabi, base dell’azienda petrolifera di riferimento che è la più grande dello Stato. Pogacar è stato ‘blindato’ con un contratto multimilionario (solo Peter Sagan è più pagato) fino al 2024 e l’ambizione della squadra è quella di diventare la prima al mondo. In una realtà che conserva una importante componente italiana, tra corridori (7 con Trentin, Formolo, Ulissi, Conti…) e non solo (il braccio destro di Gianetti è il romagnolo Andrea Agostini), sono 13 le multinazionali locali coinvolte attivamente. «Nel 2019 – rivela Gianetti – abbiamo stimato che il valore economico totale di esposizione di tutti i marchi in tutti i momenti di visibilità è stato di 800 milioni di euro, con un ritorno dell’investimento che ha sfiorato i 300 milioni».
Scenario
Pogacar ora è in prima linea per il successo finale, anche se domani c’è salita e le tappe di pianura - conclusione sabato possono essere sconvolte dal vento: 3 italiani sono nei primi 10 (Caruso, Cattaneo e Masnada) mentre ieri il migliore dei nostri al traguardo è stato Vincenzo Nibali, 13° a 1’26”: il 36enne siciliano della Trek-Segafredo si era staccato a circa 5 km dalla vetta: «Siamo saliti forte. Per me era la prima ascesa vera dell’anno. Non benissimo, neppure malissimo. Il primo giorno avevo cattive sensazioni, ho inseguito nel vento, ora mi sto assestando. Pogacar e altri hanno già lavorato al Teide in altura a temperature migliori, mentre a casa mia c’erano tra gli 0 e i 3 gradi e il ritiro ce l’ho più avanti. Non cerco scuse, questa è l’evidenza».