Perché era inevitabile voler bene a Gresini
Fausto Gresini non è stato solo un pilota, non è stato solo il proprietario di un team del Motomondiale. E non è stato di passaggio. Uno così resta nei fatti, nei ricordi, nella storia del microcosmo del motociclismo. Ogni Natale, Fausto spediva a tutti quelli che avevano avuto la fortuna di conoscerlo un biglietto di auguri insieme al libro della squadra. Anche se erano passati anni, lui non ti dimenticava. Nel suo mondo, fatto di velocità, sapeva fermarsi e riflettere. Magari guardando le decine di foto della stagione passata, contenute in quei libri, aspettando la prossima. Così, quando vedevi Faustino, ti veniva naturale abbracciarlo. Perché in quello sguardo, e lui ti guardava sempre negli occhi, c’erano le luci di Daijiro e Marco, i figli che gli hanno riempito la vita di gioia e di dolore. «È difficile andare avanti», ci confidò in un ristorante di Welkom, durante il GP Sud Africa 2003, il primo dopo la tragedia di Suzuka che gli portò via Kato. Disse solo questo. Alzava la testa con gli occhi pieni di lacrime e la ripiegava. Ovviamente non toccò cibo. Carlo Merlini, il suo braccio destro, e Filippo Falsaperla, l’inviato della Gazzetta, rispettarono quel dolore in silenzio. Ogni parola e ogni sussurro sarebbero stati fuori posto. Fausto era ancora con Daijiro: il pianto assomigliava a una preghiera. Il giorno dopo, lo spagnolo Gibernau, l’altro pilota del team, vinse il
GP battendo Valentino. «All’ultimo giro mi è sembrato di vedere Daijiro là davanti», rivelò Rossi a fine gara. Daijiro “il marziano”, così lo chiamavano affettuosamente nel team, sembrava vivere una realtà tutta sua, sapeva riposarsi nel frastuono di una prova del venerdì. Il team Gresini gli metteva tranquillità: era diventato la famiglia di Kato, i muri di un freddo box erano caldi come quelli di casa. Fausto lo vedeva e sorrideva, gli voleva bene. Poi Gibernau cominciò a vincere, nel nome di Kato. Spesso più veloci delle Honda ufficiali, le moto del team di Faenza hanno esaltato anche il talento di Melandri prima e di Simoncelli poi. Sì, Marco. Il 58. Il secondo figlio perso da Fausto sulla pista di Sepang nel 2011. Il Sic era diverso in tutto da Daijiro, ma con lo stesso talento. Per Gresini fu una punizione troppo grande. Da quel momento, andò avanti a lavorare nel nome di Marco e Daijiro. Per onorarli, per non farsi abbattere e travolgere. Così, nel paddock, tutti hanno finito
per tifare per Fausto. Negli ultimi due mesi, nella battaglia contro il Covid, aveva avuto la forza di risvegliarsi per dire ai suoi uomini: «Andate avanti, presentate la nostra nuova squadra». Poi ha richiuso gli occhi. Accolto dalle braccia di Daijiro e Marco, le stesse che domavano quei bolidi, le stesse che ora sostengono Faustino nel viaggio verso l’infinito.