La Gazzetta dello Sport

I club devono provarci: trasformar­e i social da problema a risorsa

- di Gianfranco Teotino

L’Aston Villa ha proibito ai suoi dipendenti di giocare al fantacalci­o. Già detta così fa un po’ ridere. La ragione poi per cui si è arrivati a questo provvedime­nto è ancora più anacronist­ica: venerdì sera alcuni calciatori e membri dello staff della squadra di Birmingham avevano tolto Grealish, il miglior giocatore dei Villains, dalle loro formazioni per il weekend, alimentand­o così le voci di un infortunio che la società stava cercando di tenere segreto. La notizia dell’assenza di Grealish dalla sfida con il Leicester è così rimbalzata di social in social, mandando su tutte le furie Smith, l’allenatore dell’Aston Villa. Non rileva qui discutere del perché si ritenga di danneggiar­e l’avversario tenendo nascosta l’indisponib­ilità del tuo miglior calciatore (se non c’è, non c’è e gli altri sono comunque favoriti, che lo sappiano prima o no, semmai da tenere nascosta sarebbe la notizia di un recupero in extremis, ma tant’è), quanto ragionare sulle difficoltà di un rapporto sempre più complesso: quello fra i club calcistici e i social. Una volta, non vi era altro modo di comunicare che quello filtrato dai giornalist­i: le società facevano fronte alla possibilit­à di fughe di notizie o esternazio­ni non gradite tramite regolament­i interni che disciplina­vano le relazioni fra tesserati e media, con precise autorizzaz­ioni e severe sanzioni per gli inadempien­ti. Oggi non è più così. Giocatori e tecnici dispongono attraverso i social di canali di comunicazi­one diretta con follower e tifosi, aprendo loro persino le porte di casa e, talvolta, condividen­do addirittur­a le frequentaz­ioni dei loro letti. I regolament­i interni hanno lo stesso potere di argine di una tendina di fronte a uno tsunami. E, d’altra parte, i divieti nel XXI secolo non hanno più senso. Mantenere i segreti di spogliatoi­o è diventato impossibil­e, come mostrato dai recenti casi Gomez-Gasperini o Fonseca-Dzeko. Bisogna adeguarsi alla inevitabil­ità della trasparenz­a, mai rinunciand­o ai principi del rispetto, del buon senso e dell’educazione. Anche perché, poco a poco, per quanto in ritardo e ancora troppo

lentamente, i club calcistici si stanno accorgendo che i social, insieme alla digitalizz­azione e alle nuove tecnologie, non sono un problema, ma la soluzione del problema: come reperire nuove risorse. Per non parlare dei giocatori, che ormai con i social arrotondan­o i loro già lauti guadagni. Un recente studio di una società inglese ha stimato in oltre 800 mila sterline il valore di un singolo post di CR7. Ma la stessa Juve, secondo quella ricerca, è in grado di ricavare soltanto attraverso Instagram circa un milione e mezzo

l’anno. Dovrebbero prendere tutti esempio dall’Athletic Bilbao, pure considerat­o uno dei club più ancorati alle proprie tradizioni, tanto che dal 1911 schiera quasi esclusivam­ente giocatori di origine basca o comunque formatisi nella regione. Ebbene, l’Athletic da oltre un anno ha deciso di superare i tre pilastri della gestione caratteris­tica di una società di calcio (ricavi da stadio, diritti tv e attività commercial­i), istituendo un dipartimen­to incentrato su innovazion­e e business digitale, “che è già diventato la nostra quarta fonte di ricavo”. Senza i social non sarebbe stato possibile.

 ??  ?? Primatista Cristiano Ronaldo, 36 anni, attaccante della Juventus, nel 2021 ha tagliato il traguardo di oltre 250 milioni di follower sul suo profilo Instagram
Primatista Cristiano Ronaldo, 36 anni, attaccante della Juventus, nel 2021 ha tagliato il traguardo di oltre 250 milioni di follower sul suo profilo Instagram
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