I club devono provarci: trasformare i social da problema a risorsa
L’Aston Villa ha proibito ai suoi dipendenti di giocare al fantacalcio. Già detta così fa un po’ ridere. La ragione poi per cui si è arrivati a questo provvedimento è ancora più anacronistica: venerdì sera alcuni calciatori e membri dello staff della squadra di Birmingham avevano tolto Grealish, il miglior giocatore dei Villains, dalle loro formazioni per il weekend, alimentando così le voci di un infortunio che la società stava cercando di tenere segreto. La notizia dell’assenza di Grealish dalla sfida con il Leicester è così rimbalzata di social in social, mandando su tutte le furie Smith, l’allenatore dell’Aston Villa. Non rileva qui discutere del perché si ritenga di danneggiare l’avversario tenendo nascosta l’indisponibilità del tuo miglior calciatore (se non c’è, non c’è e gli altri sono comunque favoriti, che lo sappiano prima o no, semmai da tenere nascosta sarebbe la notizia di un recupero in extremis, ma tant’è), quanto ragionare sulle difficoltà di un rapporto sempre più complesso: quello fra i club calcistici e i social. Una volta, non vi era altro modo di comunicare che quello filtrato dai giornalisti: le società facevano fronte alla possibilità di fughe di notizie o esternazioni non gradite tramite regolamenti interni che disciplinavano le relazioni fra tesserati e media, con precise autorizzazioni e severe sanzioni per gli inadempienti. Oggi non è più così. Giocatori e tecnici dispongono attraverso i social di canali di comunicazione diretta con follower e tifosi, aprendo loro persino le porte di casa e, talvolta, condividendo addirittura le frequentazioni dei loro letti. I regolamenti interni hanno lo stesso potere di argine di una tendina di fronte a uno tsunami. E, d’altra parte, i divieti nel XXI secolo non hanno più senso. Mantenere i segreti di spogliatoio è diventato impossibile, come mostrato dai recenti casi Gomez-Gasperini o Fonseca-Dzeko. Bisogna adeguarsi alla inevitabilità della trasparenza, mai rinunciando ai principi del rispetto, del buon senso e dell’educazione. Anche perché, poco a poco, per quanto in ritardo e ancora troppo
lentamente, i club calcistici si stanno accorgendo che i social, insieme alla digitalizzazione e alle nuove tecnologie, non sono un problema, ma la soluzione del problema: come reperire nuove risorse. Per non parlare dei giocatori, che ormai con i social arrotondano i loro già lauti guadagni. Un recente studio di una società inglese ha stimato in oltre 800 mila sterline il valore di un singolo post di CR7. Ma la stessa Juve, secondo quella ricerca, è in grado di ricavare soltanto attraverso Instagram circa un milione e mezzo
l’anno. Dovrebbero prendere tutti esempio dall’Athletic Bilbao, pure considerato uno dei club più ancorati alle proprie tradizioni, tanto che dal 1911 schiera quasi esclusivamente giocatori di origine basca o comunque formatisi nella regione. Ebbene, l’Athletic da oltre un anno ha deciso di superare i tre pilastri della gestione caratteristica di una società di calcio (ricavi da stadio, diritti tv e attività commerciali), istituendo un dipartimento incentrato su innovazione e business digitale, “che è già diventato la nostra quarta fonte di ricavo”. Senza i social non sarebbe stato possibile.