Lo Bello, Casarin Quando parlare costava il “rosso”
Quando non c’era la moviola, gli arbitri parlavano. Alla radio, sui giornali. Parlavano e, se necessario, si difendevano. Nel 1965, per esempio, dopo Inter-Milan 5-2, Antonio Sbardella fu raggiunto fin quasi sotto la doccia da Eveno Visioli del Corriere della Sera, che lo costrinse a spiegare perché aveva espulso il milanista Benitez. E lui rispose, con educazione e fermezza. Poi, una volta messi sotto pressione dalla tv, alcuni arbitri si sono messi a ringhiare, con conseguenze pesanti. C’è chi si è rovinato la carriera con un’intervista.
Lo Bello e la moviola
Concetto Lo Bello, che si caricava ascoltando su un disco i cori dei tifosi fiorentini contro di lui («duce, duce»), registrati in occasione di una partita contro il Cagliari, fu il primo arbitro ad ammettere un errore alla Domenica Sportiva. Era il 20 febbraio 1972. Dopo aver rivisto le immagini alla moviola, confessò a Bruno Pizzul: «Adesso io credo che qui lei avrebbe il diritto di ridere, perché non si aspetterà che io le dica che in questa occasione il giocatore è stato più furbo di me. Che, d'altra parte, non avevo la moviola e quindi non ho potuto vedere che era stato commesso il fallo». Diventò più simpatico, ma per poco. Fu nemico giurato dei milanisti dopo il gol annullato a Chiarugi contro la Lazio nel 1973 (e poi arrivò la fatal Verona) e in una successiva intervista (poi smentita) a Paese Sera arrivò a minacciare il presidente rossonero: «Al momento giusto, farò scoppiare una bomba che distruggerà definitivamente Buticchi. Non ho fretta, so aspettare». Nel 1983, dopo essere già stato sospeso una volta due anni prima, Paolo Casarin fu fermato per 9 mesi per un'intervista a Maurizio Mosca sulla Gazzetta nella quale attaccava pesantemente colleghi, giocatori, presidenti. E al primo big match dopo il rientro (Juventus-Roma) trovò ad accoglierlo in campo il microfono di Gian Piero Galeazzi. Anche Claudio Pieri, Paolo Bergamo e Lo Bello junior furono puniti per aver rilasciato interviste non autorizzate (e pepate). Ma andò molto, molto peggio a Gino Menicucci, che finì la carriera con tre anni di stop per avere pesantemente attaccato il designatore Alessandro D'Agostini sul Giornale di Montanelli.
L'ironia di Beppe Viola
Alla fine, di quegli anni mediaticamente infuocati, ci resta come un tocco di leggerezza la reazione di Beppe Viola quando l’arbitro Alberto Michelotti disertò gli studi della Domenica Sportiva: «Avevamo invitato l’arbitro Michelotti. La mamma ha detto di sì, ha detto di sì anche la moglie, e pure le figlie. Ha detto di no Campanati, il suo presidente, e quindi Michelotti è rimasto a Parma, a cantare».