Povero rugby la forbice continua ad allargarsi
«L’allenatore di una Nazionale di primo livello che perde contro l’Italia ha la certezza che alla successiva Coppa del Mondo non sarà più nel ruolo: guardate cos’è successo al Sudafrica dopo il k.o. di Firenze del 2016...»: sono parole pronunciate sabato dal c.t. ovale azzurro Franco Smith dopo la debacle contro l’Irlanda a Roma, 30a sconfitta tricolore consecutiva nel Sei Nazioni. Sintetizzano lo stato di frustrazione in cui versa non solo la sua impalpabile squadra, ma l’intero movimento, tra due settimane tra l’altro chiamato al rinnovo delle cariche federali. Perché è proprio così: le rare volte in cui l’Italia vince un match del Torneo o, più difficile ancora, batte una delle grandi dell’Emisfero Sud, è come quando la Nazionale di calcio perde contro la Sud Corea. Un fatto storico.
Il problema è che la forbice va allargandosi. E adesso, contrariamente al passato, nel mezzo di un profondo cambio generazionale, spesso non c’è proprio partita. Smith invoca pazienza («Ci serviranno otto anni per diventare davvero grandi») e le attenuanti non mancano. Soprattutto legate all’età dei giocatori: mai la Nazionale è stata così giovane. Qualche talento, poi, c’è: Garbisi, per esempio, si sta confermando apertura di caratura mondiale. E Polledri, assente da autunno per infortunio, può essere l’erede di Parisse. Se almeno i calendari internazionali fossero diversi, si potrebbe essere un po’ più ottimisti. Invece, dopo gli impegni contro il Galles leader del Sei Nazioni e in Scozia, ci saranno tre sfide consecutive agli All Blacks e una all’Argentina. Vuol dire che l’Italia, fino al match casalingo contro l’Uruguay del 20 novembre, mai partirà favorita. Smith ha ragione: occorre aver pazienza.