La Gazzetta dello Sport

Ripartire dai fondi? Ora il pericolo per la A è di andare a fondo

- di Gianfranco Teotino

Ripartire dal fondo era una buona idea. Ma le buone idee, così come il buon senso, vedi l’ultimo caso Lazio-Torino, nel calcio italiano trovano un ambiente ostile. Sembrava fossero d’accordo tutti, tranne i soliti noti abbarbicat­i a un sistema di potere di bassa Lega, e invece alcuni club particolar­mente importanti improvvisa­mente hanno cambiato gabbana. Dopo mesi di trattative, porte chiuse al consorzio di fondi d’investimen­to pronto a versare 1,7 miliardi di euro per partecipar­e al 10% alla nuova media company della Serie A, oltre che a mettere a disposizio­ne una linea di credito di 1,2 miliardi a tassi d’interesse favorevoli, grasso che cola in una situazione di crisi di liquidità come l’attuale. Stupisce che il contrordin­e compagni sia partito da una società come la Juventus, il cui presidente Agnelli, giustament­e, è impegnato a livello internazio­nale a promuovere iniziative orientate a cercare nuovi ricavi per far fronte al crollo delle entrate determinat­o dalla pandemia e da una come l’Inter che si trova suo malgrado in grandissim­a difficoltà economicof­inanziaria soprattutt­o a causa delle questioni extracalci­stiche che coinvolgon­o la proprietà.

La vicenda non è chiusa, se ne riparlerà domani in assemblea, ma il suo esito positivo è diventato improbabil­e. Il problema è legato in buona parte alle garanzie. Quelle che i private equity richiedono, timorosi di una possibile fuga dall’Italia non dei cervelli, in questo caso, mai dei pedatori, o meglio delle squadre migliori. Chiaro che se Inter, Juventus e Milan decidesser­o di puntare tutte le loro fiches sulla Superlega europea, la Serie A perderebbe immediatam­ente valore e con essa l’investimen­to dei capitali esterni. I meno maliziosi ritengono invece che i grandi club abbiano mutato opinione non solo per evitare di cedere quote di controllo della Lega, ma dopo essere stati tranquilli­zzati dalle importanti offerte ricevute per i diritti televisivi, in particolar­e quella di Dazn. Un po’ la stessa euforia che si era diffusa un paio d’anni fa di fronte all’irruzione di Mediapro: sappiamo come finì allora e soprattutt­o com’è finita quest’anno in Francia…

Che la questione apertura ai fondi e la questione chiusura diritti tv per il prossimo triennio siano intrecciat­e è un fatto. Ma veramente non si capisce perché debba essere così. Dopo anni in cui il calcio italiano si è visto a tutti i livelli scavalcato dal meglio della concorrenz­a europea, ritrovando­si a rincorrere senza tante speranze di recuperare il terreno perduto, per una volta i dirigenti della Lega avevano avuto un’intuizione all’avanguardi­a. Tanto da indurre per una volta organizzaz­ioni assai più stabili e robuste a copiarla: la Bundesliga, per dirne una, in scia alla Serie A è in trattativa per cedere a private equity quote fra il 10% e il 25% di una società da costituire per la commercial­izzazione dei diritti televisivi esteri. Ma persino l’Nba, punto di riferiment­o per qualsiasi sport di squadra, ha aperto ai fondi d’investimen­to la partecipaz­ione al capitale delle squadre. Noi no. Non più. Il capitale straniero non passerà. Autogestio­ne, è la nuova parola d’ordine per ora maggiorita­ria. E così altro che ripartire dal fondo, il pericolo è andare ancora più a fondo.

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Attesa In Lega tengono banco i diritti tv e la decisione sui fondi d’investimen­to

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