Ripartire dai fondi? Ora il pericolo per la A è di andare a fondo
Ripartire dal fondo era una buona idea. Ma le buone idee, così come il buon senso, vedi l’ultimo caso Lazio-Torino, nel calcio italiano trovano un ambiente ostile. Sembrava fossero d’accordo tutti, tranne i soliti noti abbarbicati a un sistema di potere di bassa Lega, e invece alcuni club particolarmente importanti improvvisamente hanno cambiato gabbana. Dopo mesi di trattative, porte chiuse al consorzio di fondi d’investimento pronto a versare 1,7 miliardi di euro per partecipare al 10% alla nuova media company della Serie A, oltre che a mettere a disposizione una linea di credito di 1,2 miliardi a tassi d’interesse favorevoli, grasso che cola in una situazione di crisi di liquidità come l’attuale. Stupisce che il contrordine compagni sia partito da una società come la Juventus, il cui presidente Agnelli, giustamente, è impegnato a livello internazionale a promuovere iniziative orientate a cercare nuovi ricavi per far fronte al crollo delle entrate determinato dalla pandemia e da una come l’Inter che si trova suo malgrado in grandissima difficoltà economicofinanziaria soprattutto a causa delle questioni extracalcistiche che coinvolgono la proprietà.
La vicenda non è chiusa, se ne riparlerà domani in assemblea, ma il suo esito positivo è diventato improbabile. Il problema è legato in buona parte alle garanzie. Quelle che i private equity richiedono, timorosi di una possibile fuga dall’Italia non dei cervelli, in questo caso, mai dei pedatori, o meglio delle squadre migliori. Chiaro che se Inter, Juventus e Milan decidessero di puntare tutte le loro fiches sulla Superlega europea, la Serie A perderebbe immediatamente valore e con essa l’investimento dei capitali esterni. I meno maliziosi ritengono invece che i grandi club abbiano mutato opinione non solo per evitare di cedere quote di controllo della Lega, ma dopo essere stati tranquillizzati dalle importanti offerte ricevute per i diritti televisivi, in particolare quella di Dazn. Un po’ la stessa euforia che si era diffusa un paio d’anni fa di fronte all’irruzione di Mediapro: sappiamo come finì allora e soprattutto com’è finita quest’anno in Francia…
Che la questione apertura ai fondi e la questione chiusura diritti tv per il prossimo triennio siano intrecciate è un fatto. Ma veramente non si capisce perché debba essere così. Dopo anni in cui il calcio italiano si è visto a tutti i livelli scavalcato dal meglio della concorrenza europea, ritrovandosi a rincorrere senza tante speranze di recuperare il terreno perduto, per una volta i dirigenti della Lega avevano avuto un’intuizione all’avanguardia. Tanto da indurre per una volta organizzazioni assai più stabili e robuste a copiarla: la Bundesliga, per dirne una, in scia alla Serie A è in trattativa per cedere a private equity quote fra il 10% e il 25% di una società da costituire per la commercializzazione dei diritti televisivi esteri. Ma persino l’Nba, punto di riferimento per qualsiasi sport di squadra, ha aperto ai fondi d’investimento la partecipazione al capitale delle squadre. Noi no. Non più. Il capitale straniero non passerà. Autogestione, è la nuova parola d’ordine per ora maggioritaria. E così altro che ripartire dal fondo, il pericolo è andare ancora più a fondo.