LA STORIA IN UN PUGNO C’ERA UNA VOLTA ALI CONTRO FRAZIER
I PUGNI CHE DIVISERO L’AMERICA ALI IL RIBELLE PERSE SOLO SUL RING
New York, 8 marzo 1971: il simbolo della contestazione contro l’omologato Frazier che si confermò ai punti, ricevendo la consacrazione dal rivale: «Ora sei davvero il campione». Burt Lancaster commentatore tv e Sinatra fotografo
Nasce su un marciapiede di New York, nell’agosto del 1970, The Fight of the Century: il match del secolo dell’8 marzo 1971, cinquant’anni fa, al Madison Square Garden. Protagonisti Joe Frazier, campione in carica dei massimi, e Muhammad Ali. Si rispettano, entrambi hanno vinto l’oro olimpico (Ali nel 1960 a Roma nei mediomassimi, Joe nel 1964 a Tokyo nei massimi) e il titolo mondiale tra i pro’. Ma i loro guantoni non si incrociano: uno può combattere, l’altro no. Ad Ali è stata tolta la licenza perché nel 1967, già campione del mondo, si era rifiutato di partire per la guerra in Vietnam: «Io non butto le bombe ai Viet Cong».
Simbolo
Accusato e arrestato per renitenza alla leva, diventa il simbolo dell’America che si ribella, del pacifismo, della lotta degli afroamericani. Per la gente dei ghetti è lui il campione, anche se la cintura mondiale ce l’ha Frazier. Joe viaggia in Cadillac e, in quel caldo giorno d’agosto, accetta di dare un passaggio ad Ali. Entrambi vivono a Filadelfia e devono andare a New York. Sono 150 chilometri di chiacchiere, quell’ora e mezza insieme serve ad Ali per capire meglio chi è Joe. Appunti utili perché, durante l’esilio forzato dal ring, sta scrivendo un’autobiografia e vuole mettere nero su bianco notizie esatte anche sugli avversari. Li studia, prima di affrontarli. Il viaggio, durante il quale Frazier confessa tutta la sua ammirazione per Ali, termina alla 52a Strada di Manhattan. Dopo tante belle parole è nata un’amicizia. Quando sono ormai ai saluti, appena scesi dalla macchina, un gruppo di ragazzi riconosce Muhammad Ali. Tutti gli chiedono un autografo, Frazier viene ignorato. In quel momento, lontano dalle telecamere, Ali capisce di essere il campione della gente. L’ingiustizia subita lo tormenta. E così, rivolgendosi ai giovani tifosi, cambia improvvisamente umore e lancia la sfida a un incredulo Joe: «Presto darò una lezione a quel buffone». Il match del secolo inizia in questo modo. Sulla strada, che per molti pugili è il ring dell’infanzia. In realtà, AliFrazier lo aspettano tutti. La parte che protesta si identifica in Ali. I conservatori, non vedendo un nuovo Rocky Marciano all’orizzonte, simpatizzano apertamente per Joe che diventa il sostituto perfetto della «grande speranza bianca». Il patriota, il pugile che canta l’inno fiero, cresciuto nel South Carolina lavorando nella fattoria dei genitori, macellando i maiali. Abituato al sangue, dotato di colpi fumanti come una pistola. Smokin’ Joe, così soprannominato dal primo allenatore Yank Durham, è semi-analfabeta. Fa parlare i pugni che schioccano e si fanno sentire più della voce. E’ il prototipo del picchiatore, ha un gancio sinistro micidiale.
Le petizioni
Prima del match con Ali è imbattuto in 26 match. Ha vinto con Oscar Bonavena, Jerry Quarry e Jimmy Ellis, talento di Louisville,
stessa città di Muhammad Ali, che fa impazzire i cultori del pugilato: Angelo Dundee, maestro di tutti e due, non ha dubbi con chi schierarsi. Nel match tra i suoi allievi, del luglio 1971, sceglie l’angolo di Ellis, sconfitto da Ali per k.o. tecnico alla dodicesima ripresa. Joe nel 1971 indossa le cinture Wba e Wbc, ma sa benissimo che gli manca il rivale vero, il campione che ha perso la corona per difendere un ideale. E’ campione del mondo, ma non dimentica Ali: si batte per lui, firma petizioni, parla in prima persona con le autorità politiche e sportive. Tutto inutile: per tre anni e mezzo, Ali resta fuori dalla boxe. La lunga attesa finisce per trasformare il mondiale dei massimi in un evento planetario. Anche Ali, 31 match, è imbattuto. Dopo la pausa forzata, rientra con due match vinti contro Jerry Quarry e Oscar Bonavena. Le stesse vittime di Frazier. Manca solo il faccia a faccia per capire chi è davvero il pugile più forte del pianeta. Ma bisogna aspettare l’8 marzo 1971. L’appuntamento è sul ring del Madison Square Garden, a Manhattan, non lontano dalla 52a Strada dove Ali lanciò la sfida all’amico Joe. L’impianto
newyorchese, costruito nel 1968, non è solo un palasport. Piazzato lì, nel cuore della Grande Mela, diventa un crocevia di eventi che restano scolpiti nella storia sociale e culturale. Nell’agosto del 1971 il concerto con George Harrison, Ringo Starr, Bob Dylan ed Eric Clapton fa scoprire al mondo la tragedia del Bangladesh. Ma è per prima la boxe, il mondiale dei massimi, a trasformare quest’arena in un luogo simbolo della sfida culturale che attraversa gli Stati Uniti.
Fight of the Century si profila come il più importante evento televisivo dopo lo sbarco sulla luna del 1969. I diritti tv vengono acquistati da 50 Paesi. In Italia la Rai lo trasmette in diretta alle 4.20 del mattino con la cronaca di Paolo Rosi. I 20.000 del Madison, che hanno acquistato il biglietto da 20 dollari per la balconata o da 150 dollari per il bordo ring, sono una piccolissima parte delle 300 milioni di persone che assistono al match. Alcuni lo hanno comprato per 10 dollari in Canada e negli Stati Uniti nella televisione a circuito chiuso, primo esempio di pay-per-view Anni 70. Ali e Frazier piacciono perché interpretano i due modi di essere neri in quegli anni. Lo stesso cliché che si ripeterà, nel 1974, per il match tra Ali e George Foreman nello Zaire, il famoso Rumble in the Jungle.
Un match che divide
The Fight of the Century è un match che divide, perché gli Stati Uniti del presidente repubblicano Richard Nixon stanno combattendo una guerra vera in Vietnam, una guerra fredda contro l’Unione Sovietica e, al suo interno, una guerra culturale dove la questione razziale è in primo piano. La novità è che un incontro di pugilato diventa un Kolossal. Preparato nei tre anni precedenti attraverso gli show mediatici di Muhammad Ali, il campione privato del titolo mondiale solo per ragioni ideologiche. L’organizzatore è Jerry Perenchio, produttore cinematografico che ha iniziato come agente di Marlon Brando ed Elizabeth Taylor. Finirà per diventare uno dei motori che spingono lo star system attraverso Univision, multinazionale del broadcasting venduta nel 2006 per 14 miliardi di dollari. Repubblicano convinto, Perenchio finanzia diverse campagne elettorali. Questa volta non tifa per Frazier, ma per il business. A ciascuno dei pugili offre una borsa di due milioni e mezzo di dollari, un record per quegli anni. L’affare si fa: a fine match il conto in banca di Perenchio crescerà di 20 milioni di dollari… La sera del Fight of the Century arriva, celebrata dalla presenza di Frank Sinatra, nelle vesti di fotografo per la rivista Life (con tanto di foto in copertina), Woody Allen, Norman Mailer, Marcello Mastroianni, Dustin Hoffman e Barbra Streisand. Anche Burt Lancaster è a bordo ring come commentatore per la tv a circuito chiuso. L’arbitro è Arthur Mercante, l’unico che, lì con i pugili pochi istanti prima del gong, può sentire la provocazione di Ali: «Lo sai. Stanotte sei qui con il Dio…». E la replica di Joe: «Se tu sei Dio, stanotte sei nel posto sbagliato».
Gancio terrificante
Angelo Dundee e Yank Durham, gli allenatori di Ali e Frazier, danno le ultime raccomandazioni. Alla fine di ogni ripresa accolgono all’angolo i loro pugili, sempre più provati. Alla quindicesima e ultima ripresa, ormai sfiniti, un terrificante gancio sinistro di Frazier sposta la mandibola di Ali che crolla al tappeto, ma riesce a rialzarsi e a chiudere il match in piedi. I giudici non hanno dubbi, verdetto unanime: 8-6 per Arthur Mercante, 9-6 per Artie Aidala e 11-4 per Bill Recht. Frazier resta mondiale della Wba e Wbc. Ali lo incorona: «Adesso sì che sei un vero campione». The Fight of the Century fu il primo match di una trilogia continuata nel 1974 ancora al Madison e nel 1975 a Manila. Muhammad Ali vinse sia la rivincita (ribattezzata Super Fight II) ai punti, con decisione unanime, sia la bella (Thrilla in Manila) per k.o. tecnico alla 14a ripresa. Al funerale di Joe Frazier, morto nel 2011, si riunirono i grandi della boxe. George Foreman pagò le spese. Ali, sfiancato dal Parkinson, trovò le forze per esserci e per alzarsi dal banco con tutti gli altri. Per fare l’ultimo saluto, in piedi, all’amico che lo accompagnò in macchina da Filadelfia a New York, al vincitore del Fight of the Century.