Ibra contro LeBron e lo sport “neutrale” Che cosa c’è di vero?
LeBron James contro Ibra su politica e dintorni: ma chi ha vinto alla fine?
Sergio Astri
Nella sostanza i due fenomeni sono d’accordo: si figuri se Ibra può avere una posizione diversa sul razzismo che in qualche forma ha sperimentato di persona. Lo svedese è scivolato sul termine “politica” che certamente intende come schierarsi in un partito. Ma la lotta per i diritti umani non ha nulla di partitico, cioè di fazioso: va considerata una precondizione del nostro vivere insieme su questo pianeta. Il problema è che la storia, anche recente, ci insegna che il razzismo non è mai vinto una volta per tutte; bisogna combatterlo sempre. È il nostro lato oscuro, è il male.
Del resto lo sport, basato su regole condivise e lealtà, è esso stesso un manifesto di diritti umani, in quanto per definizione deve essere aperto a chiunque, a ogni minoranza, senza alcuna discriminazione di genere, religione e altro. In questo senso, Ibra ha ragione nel considerarlo un fattore di unione universale, ma dimentica che si tratta anche di un momento politico, nel senso che fa parte della vita della “polis”, cioè della comunità. Questa inesistente neutralità dello sport è stata per decenni una falsa bandiera di molti, anche in Italia: nascondeva in realtà una volontà di isolazionismo, all’ombra del quale crescevano sottopotere, affarismi e ipocrisie. E se andiamo molto indietro nel tempo, scopriamo altri peccati originali: lo sport dell’antica Grecia e delle Olimpiadi classiche era rigorosamente proibito agli schiavi, ai non greci, alle donne. Dunque è nato all’insegna del razzismo. Non dimentichiamo che tutte le dittature, in prima fila quelle di Hitler, Mussolini e Stalin, hanno usato lo sport per i loro sporchi fini. Ricordiamoci l’apartheid sudafricano, superato appena da pochi decenni. E teniamo ben presente che oggi è vietato l’accesso allo sport a decine, forse centinaia, di milioni di donne nel mondo.
Abbiamo bisogno, in quanto comunità mondiale, di ogni Ibra e di ogni LeBron che si battano per i diritti umani. Non certo per nasconderci
Ci vuole poco, infatti, a sconfinare dall’ambito degli obbiettivi condivisi e trasformarsi in tuttologi interessati o falsi profeti. E forse questo voleva dire Ibra, in modo confuso: abbiamo poco interesse alle ricette macroeconomiche di un big del basket o del calcio finché non sarà dimostrato che si tratti anche di un credibile economista. Ci interessa poco anche per chi vota, che casa abiti o quale auto compri. Alla fine, dobbiamo imparare a fruire di questa cascata di informazioni con grande cautela e senso critico, stando più vicini ai nostri figli, perché imparino a distinguere. E magari anche a vivere un po’ più nelle strade e nelle piazze, Covid permettendo, e un po’ meno davanti a uno schermo.