Vai, Nibali Quella mano sulla sella dice tutto
asta un particolare, uno solo. È ora di cena quando Vincenzo Nibali posta sul suo profilo Instagram, quasi mezzo milione di follower, l’immagine con il dottor Marano, in passato già medico del Giro d’Italia. La mano sinistra è sulla sella della bici, che lo Squalo ha portato fin dentro la clinica svizzera di Lugano dove è stato operato. Era l’ultimo check per valutare la giusta posizione della mano destra, avvolta in uno speciale tutore di carbonio che è stato modellato sulla forma del suo manubrio, proprio per consentirgli di impugnarlo e di frenare senza stressare troppo il polso.
Ebbene, è proprio quella mano sulla sella, e il sorriso che si intuisce sotto la mascherina di Enzo, a rincuorarci ancor più. Onestamente, non abbiamo mai pensato né ipotizzato un forfait di Nibali al Giro d’Italia, la «sua» corsa, due volte re e quattro sul podio. Nibali «è» la corsa rosa, il più vincente dall’era di Gimondi. A 36 anni il tempo corre più velocemente che a 30, Vincenzo sa di non avere tante altre occasioni, ha patito tantissimo la stagione 2020 stravolta dalla pandemia e si era impegnato come mai nell’ultimo periodo per farsi trovare pronto. Magro, rigoroso e professionale in tutto, del resto se non ha esperienza uno come lui... Il semaforo verde dalla clinica svizzera l’ha rincuorato. I rulli non li ha mai amati, e infatti Nibali tornerà direttamente sulla bici da strada. Già oggi un giretto, per vedere se va tutto bene, se sente dolore. Nella sua testa, il piano per essere sabato 8 maggio a Torino, la città dove ha vinto il suo secondo Giro, c’è tutto. Una settimana in quota per isolarsi e “sentirsi” dentro, qualche compagno vicino, poi sarà lì in piazza Castello, con altri 175 colleghi.
Tutta l’Italia lo spinge, tutti i tifosi lo vogliono.
Bdi
Inter capolista sempre più capolista, nonostante abbia rallentato con gli 1-1 degli ultimi due turni, tra Napoli e La Spezia. È il senso della 32ª giornata chiusa ieri con i posticipi. L’Atalanta non ha vinto all’Olimpico contro la Roma e non ha scavalcato il Milan al secondo posto. Così i rossoneri, scivolati a meno dieci, restano gli avversari più diretti dell’Inter per la corsa scudetto. Oggi l’aritmetica dice che ai contiani basteranno otto punti nelle ultime sei partite per diventare campioni d’Italia. Il Milan, se le vincerà tutte, arriverà al massimo a 84 e l’Inter dista 8 gradini da quota 84. In caso di parità 84-84 prevarrebbero i nerazzurri per miglior differenza reti negli scontri diretti.
L’Siamo nell’astratto: è difficile che il Milan, ricaduto nella buca delle sue insicurezze, faccia il pieno in quel che resta del campionato, e pensiamo che l’Inter possa andare serenamente oltre gli 8 punti di cui sopra. Sono ammessi gli scongiuri interisti, ma non è più in discussione chi vincerà il campionato, bisogna solo capire quando accadrà.
Per rimanere ai posticipi di ieri, è abbastanza incredibile farturi@rcs.it i tutta questa, per fortuna brevissima, tragicommedia della Superlega la cosa che mi è rimasta più impressa è stato quel cartello brandito da un giovane tifoso del Chelsea che protestava davanti a Stamford Bridge. C’era la scritta: fans not consumer, cioè siamo tifosi non clienti. E che cosa ha colpito di più lei?
DGino Fervori
Diverse immagini e reazioni. D’altra parte siamo in presenza di un «case history» che verrà studiato per decenni nelle facoltà economiche delle università: la costruzione di un di quanto accaduto all’Olimpico. L’Atalanta per oltre un’ora ha preso a pallonate la Roma, ha creato una serie impressionante di occasioni, ha esercitato un dominio tecnico-fisico “imbarazzante” per gli avversari, ne ha ricavato la miseria di un gol. Troppi sprechi, tante reti buttate via, quello sciupata da Muriel a porta spalancata merita di portofranco@rcs.it nulla imprenditoriale mascherato da grande finanza (e ti raccomando anche JP Morgan). Gliene cito solo cinque. La prima: accanto a tanti «hombres verticales», dai giocatori del Liverpool a Paolo Maldini, ho ammirato da morire il parere negativo fermissimo di una «mujer vertical», Evelina Christillin, una dirigente che è dalla nascita tanto vicina alla famiglia Agnelli da farne quasi parte. Complimenti di cuore, signora: lei non ha tradito nessuno.
La seconda: il pusillanime comportamento della nostra entrare nell’annuale galleria degli orrori. Poi Gosens è stato espulso, la squadra di Gasperini è rimasta in dieci e la Roma ha pareggiato.
All’Atalanta suggeriamo di riflettere: essere forti e spettacolari non basta, le partite vanno chiuse, il compiacimento e il divertimento lusingano l’ego, non la classifica. L’Atalanta si
associazione calciatori, autrice nelle ore calde di un comunicato pavido quanto il comportamento di tanti giocatori delle nostre tre squadre da Superlega, tutti immersi in un silenzio imbelle. Cari milionari, siete lontani dalla gente, dovrete recuperare terreno.
La terza: l’intollerabile pretesa di arrogarsi la conoscenza di ciò che piace o non piace alle giovani generazioni. I 12 congiurati hanno sondaggi secondo i quali i 16-24enni sono in fuga dal calcio? Avrebbero fatto meglio a richiederne di seri su come
è guadagnata il rispetto di tutti, l’Europa si è accorta di lei, l’ha eletta a simbolo dell’opposizione alle Superleghe.
Le manca l’ultimo miglio, il più difficile, quello che colma la non sottile differenza tra l’essere una bella squadra e una bella squadra vincente. L’Atalanta non è criticabile per quello che ha fatto e per come sarebbe stato accolto dai tifosi (e dai politici, e dagli allenatori) questo campionato esclusivo per ricchi, che al momento sono tutti in pre-fallimento.
La quarta: l’uso patetico della parola «rivoluzione», come se bastasse per accreditare di nuovo e affascinante un progetto. Come se questo termine non abbia avuto, per esempio nella storia politica, connotati di oscurantismo, passatismo e vera e propria barbarie. L’autentica rivoluzione, che richiederebbe, questa sì, un «patto di sangue», sarebbe il blocco della folle corsa in avanti degli l’ha fatto, ma sarà censurabile per quello che non farà, se non lo farà. Sarebbe un peccato se non raccogliesse un trofeo, per esempio la Coppa Italia dietro l’angolo. Nel mucchio selvaggio della volata Champions il Napoli ha ricacciato indietro la Lazio, reduce da cinque vittorie. La squadra di Simone Inzaghi deve recuperare una partita, ma la botta presa al Maradona è stata forte: 5-2, un brusco risveglio, attenuato dalla reazione sul 4-0. Cinque squadre in fila per tre accrediti Champions: Milan 66; Atalanta e Juve 65; Napoli 63, Lazio 58 potenzialmente 61. La Roma a 55 ci pare tagliata fuori, focalizzata sull’Europa League. Il Napoli ha un calendario in discesa, affronterà squadre di medio-bassa classifica, zero scontri diretti. Troverà avversari motivati perché in lotta per la sopravvivenza in Serie A, ma Rino Gattuso è padrone del suo destino e capitano della sua anima, e può congedarsi da Napoli con il babà dell’Europa stellata. Non sarebbe un’impresa clamorosa, la squadra è attrezzata, però sarebbe una risposta concreta, fattuale, ai grilli parlanti di Fuorigrotta e dintorni.
La quinta e ultima: la gente (e soprattutto quei giovani che si sarebbero distaccati dal calcio, pensa un po’) hanno scelto il sentimento, non di sostenere la Fifa del mondiale in Qatar o la Uefa col suo fair play finanziario impalpabile e incomprensibile. Il grande Indro Montanelli molti anni fa invitò i suoi lettori a votare per la Democrazia Cristiana «turandosi il naso», cioè non nascondendosi le sue innumerevoli magagne: ma era, a suo parere, il male minore. La stessa cosa si può dire in questo momento di Uefa e Fifa, governate a loro volte da logiche di danaro e di rendita parassitaria. Cari Ceferin e Infantino: la gente vuole bene al calcio, non certo a voi.