La Gazzetta dello Sport

Bastone e carota nella versione Antonio che non invecchia mai

- di Fabio Licari

Per costringer­e alla resa «l’asino italiano», Churchill pronunciò nel 1943 la famosa espression­e del bastone e della carota. Si dice che Conte s’ispiri al metodo del primo ministro britannico. Proprio sicuri? Intanto il premier interista non usa il bastone per sottomette­re nemici, ma per tirar fuori il massimo dagli amici. E i compliment­i arrivano, semmai, a missione compiuta. Vedi Eriksen, Perisic e Lautaro, tutti giocatori chiave nel girone di ritorno. Un sistema non nuovo ma efficace. Lo applicava anche Mourinho fin dal Porto (e i punti di contatto tra i due sono innegabili): «Maniche devo tenerlo sotto pressione e dirgli “oggi non giochi, sei una merda”: allora sicuri che farà un partitone».

Per recuperare l’algido Eriksen niente insulti. Solo un atteggiame­nto più zen ma altrettant­o doloroso per chi lo subisce: l’indifferen­za. Conte l’ha ignorato, lasciato in panchina e fatto entrare nel recupero, una silenziosa dichiarazi­one di estraneità al progetto. Se il danese avesse il carattere di Conte lotterebbe per il Pallone d’oro, ma ecco la reazione quando la causa sembrava persa. Provocazio­ne diversa per Perisic, da sempre esterno offensivo, ora costretto ad adattarsi a tutta fascia, terzino e ala, perché nel 3-5-2 non avrebbe avuto altro spazio. Conte a dire che non ce l’avrebbe fatta, che il ruolo non era per lui, scatenando una risposta. Con Lautaro il bastone s’è trasformat­o in una sceneggiat­a studiata: la volta dopo il “fenomeno” è stato il migliore. Esattament­e quello che il tecnico aveva in mente mentre impartiva la lezione pubblica: perché la prossima Inter, per lui, nasce dalla conferma dell’argentino che è lo yang di Lukaku-yin. Se andasse via sarebbe un bel problema.

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