La Gazzetta dello Sport

Chiedimi se sono Felice

BERNAL, LACRIME DI GIOIA INFIAMMA LO STERRATO È LA ROSA DEL SACRIFICIO

- di Luca Gialanella INVIATO A CAMPO FELICE (L’AQUILA)

Show di Egan a Campo Felice: stacca tutti negli ultimi 500 metri. Ciccone (2°) limita i danni, Evenepoel più indietro

Può piangere un campione, e può far piangere sentire sulla pelle la maglia rosa? Egan Bernal ristabilis­ce le gerarchie del ciclismo mondiale, e sopra la maglia gialla del Tour 2019 si infila direttamen­te quella del Giro. La voleva, non poteva perdere altro tempo, perché i fuoriclass­e sono così: non fanno troppi calcoli, prendersi le responsabi­lità è parte del proprio status. Si combatte come gladiatori. La maglia rosa non è un peso, ma un onore. Il colombiano è al debutto al Giro, e l’Italia lo adotta subito quando con gli occhi lucidi lo sente commuovers­i nella nostra lingua. Ci sono 1600 metri di strade bianche in salita, infuocate dal tifo: Campo Felice, a uno sguardo dall’Aquila, è una scommessa vinta e dimostra quanto i campioni amino queste sfide. Un ring in montagna, al limite. Senza pensare allo Zoncolan tra una settimana. La rosa è ora. Il paradiso è in fondo a un sentiero sterrato.

Esercizi e bandiere

Bernal non aveva mai vinto una tappa in un grande giro. Al Tour, nel 2019, l’impresa sull’Iseran lo porta al comando senza alzare le braccia al cielo, la frazione viene interrotta da una frana. Poi i dolori alla schiena nel 2020, tra le gare posticipat­e per il covid e il ritiro in Francia. Da quel momento, Egan pensa soltanto a guarire, a capire come quella differenza tra le gambe (la sinistra è più lunga) possa essere, se non azzerata, almeno contenuta. Dietro il trionfo ci sono mesi di sofferenza ed esercizi continui con il fisioterap­ista: anche sul pullman, prima di partire per la tappa, Bernal allunga i muscoli con gli “elastici”, fa sedute di core-stability e stretching, pedala 20’ sui rulli fuori dal bus per scaldare le fasce muscolari della schiena e non stressarla a freddo. Anche Marco Pantani si era ritrovato con la sinistra più corta dopo l’incidente del 1995, eppure 3 anni dopo vinse Giro e Tour. Già, Bernal e Pantani. Uniti dal giorno di nascita, il 13 gennaio. Dalle videocasse­tte con cui il colombiano scopriva il Pirata e ne imitava, sin da ragazzino, la posizione. Dall’amore per le salite e le montagne. Dal piacere, dalla felicità di girarsi e non vedere nessuno alle spalle. Marco non ha mai avuto uno sterrato per esibirsi, il suo palcosceni­co erano Mortirolo, Galibier e Alpe d’Huez. Egan scatta nel punto in cui, a 500 metri dall’arrivo, c’è una bandiera nera del Pirata che sventola, e poi un’altra, sulla destra, lo accoglie quando ormai è un puntino per gli avversari. Sono 500 metri di esibizione pura, forsennata, su un terreno che Bernal ama, lui cresciuto a Zipaquirà, 2650 metri di quota, dipartimen­to di Bogotà, con la mountain bike, due volte sul podio del Mondiale juniores. Ci mette 1’19” per farli, alla media di 22,75 km/h con punte del 14%. E a marzo era arrivato 3° alla Strade Bianche alle spalle di Van der Poel e Alaphilipp­e. Un test: mercoledì dopo il riposo si va su 35 km di sentieri a Montalcino, in 4 settori.

E che Moscon!

I granelli dello sterrato, preparato e rullato fino a pochi minuti prima del passaggio, diventano polvere d’oro. Si pedala su una strada di servizio alle piste da sci. E le transenne delimitano un sentiero della gloria: da quanto tempo il Giro non aveva il pubblico in una tappa con arrivo in salita? La gente indica Bernal con il dito come se fosse il proprio eroe, la corsa rosa accoglie nel suo salotto il nuovo dominatore. Sono 1600 metri, uno sforzo brutale di 3’45”. Ma se Egan adesso guarda tutti dall’alto, più di una manica della sua rosa è di Gianni Moscon. Il trentino affronta lo sterrato come se fosse la Foresta di Arenberg della

Roubaix, e distrugge i rivali. Valter in rosa è già lontano, Evenepoel si perde, a 600 metri dall’arrivo il russo Vlasov accende la battaglia, ma Bernal non lo guarda nemmeno. Gli resiste solo Ciccone, poi il colombiano cambia rapporto, mette il 53, e sgomma sullo sterrato. Non più incertezze, non più dubbi. In quelle gambe che spingono c’è la voglia di un campione che ritrova, nel dolore per lo sforzo, la felicità. La legge del più forte vuol dire ritrovare, per prima cosa, se stessi. Non alza le braccia perché non sa se ci sia qualcuno davanti. Ed è chiara anche una spiegazion­e tecnica: Bernal imprime violentiss­ime accelerazi­oni e cambi di ritmo che sono una costante dei biker. Paura di alzarsi sui pedali, le ruote slittano? Rivedetevi il filmato: tratti da 10-12 pedalate in piedi, qualche secondo sulla sella, e via di nuovo. Il tratto era breve, ma Bernal ha ricordato quello che Van der Poel porta dal ciclocross alle gare su strada. Ciccone e Vlasov arrivano a 7”, Evenepoel ne perde 10, Caruso e Bardet 12, Nibali e Bettiol 35. Classifica rivoluzion­ata: Bernal strappa 20” (con l’abbuono) a Evenepoel, che resta 2° a 15”; poi Vlasov a 21” e Ciccone a 36”. Il Giro s’infiamma.

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