Ora salta lassù
Alessandro Talotti non c’è più. L’ex saltatore in alto azzurro, dopo una battaglia di quindici mesi condotta con enorme coraggio, sabato notte si è arreso. Friulano, aveva compiuto 40 anni in ottobre e pochi giorni dopo era per la prima volta diventato papà, di Elio. In gennaio, visibilmente provato, ma pieno del solito, travolgente entusiasmo, era stato tra gli organizzatori di Udine Jump, riuscitissimo meeting indoor di solo alto, ormai prestigioso appuntamento fisso del calendario internazionale, con ospite anche il leggendario Javier Sotomayor. Ecco, quel che più resta nei ricordi di chi ha avuto la fortuna di conoscere e di frequentare Alessandro, di chi ne ha seguito la carriera in pedana e la successiva parabola, di chi sino a poco tempo fa ha ricevuto nonostante tutto i suoi messaggi whatsapp pieni di cuoricini, di pollicioni e di “Top”, è il suo sorriso, la sua cordialità, la sua voglia di fare, il suo inesauribile desiderio di progettare, di guardare avanti, vulcano sempre attivo di idee e di iniziative.
Un sognatore
Un personale di 2.32, due partecipazioni olimpiche (finalista ad Atene 2004), più presenze a Mondiali ed Europei con un quarto posto continentale a Monaco di Baviera 2002 con lo stesso 2.27 dello svedese Staffan Beach, di bronzo, il suo amore per il salto in alto e per l’atletica tutta - dal 2012 al 2016 è stato anche consigliere federale in quota atleti - lo portavano a sognare in grande. E, nel contempo, a essere molto concreto. Come quando ha scelto di raccontare per filo e per segno le tappe della sua malattia. Dall’operazione all’intestino del marzo 2020, passando per i tanti, tantissimi cicli di chemioterapia, sino ai giorni più difficili. Anche in simili circostanze pensava positivo: inviava fotografie scattate durante i trattamenti e si sentiva investito di un ruolo: «Credo sia utile rendere pubblico il mio pensiero affinché possa essere di aiuto a coloro che oggi stanno affrontando la loro sfida - aveva scritto sul Messaggero Veneto poco più di un anno fa -: sia essa la semplice e noiosa quarantena o il rischio di vivere un malessere vedendo il bicchiere mezzo vuoto. Vorrei dire a chi vede tutto nero che anche riuscire a bere un bicchiere d’acqua con una fettina di limone quando sono potuto tornare a sorseggiare in modo normale, senza sentire dolore o fastidio, è stato un sogno che si è realizzato. Adesso mi sembra sempre la cosa più buona che ci sia. È così, quando si torna a deside- rare il “normale”».
L’eredità
JJ, come gli piaceva farsi chiamare, smessi i panni dell’atleta, si era laureato e insegnava alla Facoltà di Scienze Motorie, si era diplomato in fisioterapia, andava al campo a seguire giovani da plasmare e recentemente era stato anche confermato delegato Coni di Udine. Ogni giorno un impegno da onorare, un programma da realizzare, una proposta da sottoporre. Toccherà a Silvia, triestina sei volte iridata nel pattinaggio artistico su rotelle, sua moglie da dieci giorni, sopportare il dolore e far capire a Elio che bella figura sia stata il suo papà. «Buonanotte Angelo mio scrive - grazie per tutte le cose spettacolari che abbiamo vissuto assieme. Grazie per il dono più grande che mi hai lasciato. Grazie per esser stato semplicemente te stesso. Ti amo ora e per sempre». A lei, anche La Gazzetta dello Sport, si unisce in un forte abbraccio virtuale.