Il Milan paga errori di mercato Il conto tecnico della Superlega
si è sentita molto Andava preso un centravanti vero non Mandzukic
sono fenomenali ma oggi costano più di quanto rendano
Il Milan s’è complicato la vita da solo. Diversi gli errori strategici compiuti. Il primo, capitale, commesso alla fine del girone d’andata, terminato al primo posto con 43 punti. L’errore è stato non supportare quel bellissimo risultato, raggiunto nonostante una rosa non da primato, con un mercato d’inverno adeguato. All’acquisto di Tomori andava sommato un centravanti vero, non Mandzukic. La mancanza di Ibra si è sentita moltissimo. Ma era così difficile prevedere potesse fermarsi un giocatore che tra qualche mese compirà quarant’anni? Perché a Ibra aggiungere un azzardo al cubo come il croato? Il Milan doveva anticipare un investimento programmato per l’estate, mettendo al sicuro la qualificazione in Champions, che porta decine di milioni di euro in cassa. Senza contare il valore simbolico, enorme, di un rientro tra le grandi d’Europa per il club italiano con più Champions in bacheca.
I risultati altalenanti del Milan non hanno niente di misterioso, sono il frutto di valori molto diversi tra giocatori titolari e in panchina. Così sono arrivate nel girone di ritorno cinque sconfitte: troppe. La Juve e il Napoli con cui il Milan si sta contendendo la Champions hanno una rosa superiore a quella a disposizione di Pioli. Il che mi fa concludere che il tecnico c’entra ma poco nella caduta di risultati. Non si può chiedere a un allenatore di fare un miracolo che duri mesi. Non è finita, certo. Il Milan ha le qualità per andare a Bergamo e battere l’Atalanta. Anche se non troverà una squadra già in
vacanza. Con Gasperini quell’eventualità non esiste.
Dei tre club che ancora insistono con la Superlega non uno probabilmente vincerà il proprio campionato, nonostante nei rispettivi Paesi siano storicamente dominanti.
Solo al Real è rimasta una chance. Il segno che alla crisi economica, motore primo dell’iniziativa, si accompagna la crisi tecnica. Juve e Barcellona hanno i due giocatori, Ronaldo e Messi, che hanno segnato una stagione calcistica forse irripetibile, ma che oggi costano più di quanto rendano. Sono ancora fenomenali, intendiamoci bene. Nessuno discute il valore assoluto di due mostri sacri del calcio mondiale. In discussione è il loro costo, che appartiene a un mondo che non esiste più e che finisce poi per condizionare tecnicamente le loro squadre. Anche se poi il conto delle scelte sbagliate lo pagano gli allenatori. Juve e Barcellona negli ultimi tre anni ne hanno cambiati tre, non proprio usuale per club così vincenti. È possibile che Pirlo, Zidane e Koeman non vengano confermati. Non hanno tutte le colpe del mondo, anche se di sbagli ne hanno commessi. Ma mandare via l’allenatore è
Il presidente Commisso nei giorni scorsi se l’è presa con diversi giornali italiani, Gazzetta compresa.
Nello specifico il giornale ha già risposto, non ho intenzione di riaccendere la polemica. Faccio solo una notazione a margine. Commisso è stato, giustamente, accolto benissimo quando ha comprato la Fiorentina. Non solo perché apriva una stagione promettente per un club importante, di una città tra le più belle del mondo, ma anche perché si sperava portasse i semi di una cultura sportiva diversa, appunto americana. Negli Stati Uniti i giornali hanno fatto dimettere Presidenti potentissimi. Lì hanno la religione della libertà di stampa. Che, va da sé, contempla la libertà di critica. Ecco, anche da questo punto di vista Commisso non sta rispettando le attese. Di americano c’è poco nelle sue parole dei giorni scorsi. C’è invece molto di tipicamente italiano nel cercare sempre altrove, spesso nei media, la responsabilità dei risultati che non arrivano.