Il terzo uomo è russo: la bici dopo il calcio e l’italiano perfetto
Ecco chi spaventa Bernal ed Evenepoel «Crono e salita, mi ispiro a Dumoulin»
Come Pantani, anche lui al mattino si farebbe un piatto di spaghetti con la marmellata
Se gli chiedo qualcosa risponde, altrimenti possiamo guardarci 15 minuti in silenzio
Martinelli
D.s. Astana
Il terzo uomo ha venticinque anni, è nato a tremila chilometri da qui, e parla un italiano impeccabile, «meglio di un bresciano» come specifica il bresciano Beppe Martinelli, che lo guida dall’ammiraglia. Il terzo uomo è Aleksandr Vlasov, russo di Vyborg, porto incantevole sul golfo di Finlandia, che prima che arrivasse lui per il mondo del ciclismo era soprattutto la città di Ekimov e di Berzin. «La mia non è una famiglia di ciclisti. Ho fatto calcio e judo prima di scegliere la bicicletta, perché mi piaceva di più». Fino ai diciotto anni ha corso in Russia, poi si è trasferito da noi. È andato a vivere a Vigevano da solo: ha imparato a cucinare e fare le faccende in casa. Tre anni fa ha vinto il Giro Under 23, e lì ha incontrato il suo futuro. È Martinelli a raccontarlo. «Sono andato a vedere due o tre tappe, e ho visto soprattutto lui. Correva per Rosola, che è un mio amico, così andavo a parlare con lui ma era una scusa per parlare di Vlasov. Quando sono tornato ho detto a Vinokourov e a Shefer che dovevamo prenderlo all’Astana: era troppo forte». Rosola
aveva capito qualcosa, ma Martino continuava a negare. «Non potevo mica dirgli che gliel’avevo portato via. Però siamo amici, e mi ha perdonato».
In scadenza
Dopo un passaggio sul Garda e due anni a Sarnico, sul lago di Iseo, l’anno scorso Vlasov si è trasferito ad Andorra. Il 4 dicembre, a San Pietroburgo, ha sposato l’amore della sua vita, Galina Kebina. A fine stagione potrebbero spostarsi ancora e prendere casa a Montecarlo, ma il futuro è ancora da scrivere. Il suo contratto con l’Astana è in scadenza: Vinokourov e Martinelli vorrebbero tenerlo con loro, ma anche Ineos gli ha messo gli occhi addosso e da quest’anno il suo procuratore è lo stesso di Egan Bernal, l’italiano Giuseppe Acquadro. Al Giro sono primo e terzo in classifica, divisi da 22 secondi. «Sono contento di come sto andando. Sulla ghiaia di Campo Felice è stato difficile tenermi in equilibrio, ma le gambe giravano, mi sento bene. Tutti gli obiettivi sono raggiungibili se lavori duramente». Praticamente Vlasov è al suo primo Giro: l’anno scorso stava già male (problemi di stomaco) prima del prologo di Palermo, e durante la prima tappa salì in ammiraglia. Poi andò alla Vuelta, «le tre settimane non sapevo neanche cosa fossero», e finì 11° nella generale senza alcuna preparazione specifica. Dopo aver vinto il Giro dell’Emilia ed essere arrivato terzo al Lombardia, «una giornata fantastica». Il suo modello è Tom Dumoulin, «fortissimo a crono ma anche in salita».
Un quarto d’ora
Parla poco, e soltanto se interrogato. È Martinelli a raccontarlo. «Se vado in camera sua e gli chiedo qualcosa parla. Se non dico niente possiamo stare un quarto d’ora in silenzio a guardarci in faccia». Però Vlasov ascolta. E tutte le volte che il suo direttore sportivo gli dà un consiglio, lui esegue. Martino gli ha messo le trappole, e lui ne è uscito alla grande. «L’altro giorno gli ho consigliato di non andare a fare il massaggio per primo la sera. Così si può riposare un’ora in più. Il giorno dopo ho chiesto al massaggiatore: mi ha detto che Alexander ha voluto andare da lui per ultimo. Mi ascolta». Come quando Vlasov voleva sapere di Pantani, ché il suo nome è scritto su tutte le salite. E Martino gli ha raccontato che la mattina prima dei tapponi Panta voleva gli spaghetti con la marmellata. Adesso, quando c’è una tappa dura, Vlasov scende a colazione e fa: «Quasi quasi mi faccio una pasta con la marmellata». È uno che ascolta, e impara. Prima del Giro è andato a fare la ricognizione delle tappe con Martino e con Zanini: Sestola, lo sterrato di Montalcino, lo Zoncolan no perché non c’era più tempo ma glielo hanno spiegato bene. Vlasov ha assorbito quello che gli ha detto il suo d.s., e cioè che «il Giro vero comincia sullo Zoncolan». Mica vero, ma lasciamoglielo credere.