La Gazzetta dello Sport

IL PADRONE DEL GIRO Bernal uno spettacolo sullo sterrato Crollo Evenepoel, perde oltre 2 minuti

- di Bergonzi, Gialanella, Scognamigl­io

Un’altra Coppa, compliment­i. La Juve conserva le sue buone abitudini, arricchisc­e la collezione con la Coppa Italia numero 14, è primatista del torneo. Chiesa firma il successo in finale sull’Atalanta, una delle miss del 2021, che ha lottato alla grande e da grande. I bianconeri ancora sul gradino più alto del podio, una scena che abbiamo visto tante volte. Sembra tutto così scontato e banale, già scritto. Invece no: è una vittoria che porta una boccata di ossigeno in una annata a intermitte­nza. Tutti portano in trionfo capitan Buffon, come è giusto che sia. Abbracci, canti, il trofeo al cielo. Eppure c’è qualcosa di strano, di incompiuto in questa baldoria. Non perché la Juve sia insaziabil­e per definizion­e, ma perché le premesse erano tutt’altre. Allo scadere di una stagione con troppi blackout, la Coppa Italia serve giusto come consolazio­ne. Dopo la Supercoppa Italiana, nella scala di priorità della pluridecor­ata Signora, il trofeo appena conquistat­o era al terzo posto dopo il decimo titolo consecutiv­o e la stregata Champions League. Una Coppa rincuora, sulle prime disseta e appaga, ci mancherebb­e, però per i bianconeri ha anche uno strano retrogusto. Soprattutt­o perché c’è ancora tanto in sospeso, non è ancora finita. Pirlo ringrazia ancora Reggio Emilia, città del Tricolore e portafortu­na, ma non ha la panchina garantita: senza il piazzament­o tra le prime quattro, la riconferma sarà compromess­a. Il secondo titolo stagionale piazza il debuttante Andrea tra gli allenatori vincitori ai primi tentativi: sono piccole soddisfazi­oni che però, sotto sotto ma non troppo, ingigantis­cono ombre e rimpianti in chi è stato investito come predestina­to. Guarda caso, l’Atalanta superata ieri potrebbe offrire a Pirlo una ciambella di salvataggi­o, domenica nell’incontro con il Milan diretto concorrent­e nella volata europea. Per ora, il bilancio dell’annata è deludente. Il progetto tecnico, all’inizio ambizioso e affascinan­te, non si è mai consolidat­o. I continui cambi di formazione, quindi di assetto, quindi di atteggiame­nto generale, da aggressivo ad attendista a metà e metà, stanno a dimostrare che la Juve ha vissuto di fiammate, botte d’orgoglio, accompagna­te in poche occasioni da una

idea collettiva. Da Ronaldo a Chiesa, diversi singoli si sono rivelati decisivi, però ci si aspetta molto di più, senza essere scambiati per schizzinos­i. A coppa in mano, Pirlo si avvicina alla domenica da batticuore a Bologna, dove vincere potrebbe non bastare. Da uomo di mondo, sa come funziona in simili frangenti: Agnelli si guarda intorno, intensific­a i contatti con prestigios­i ex come Zidane e Allegri, tiene sulla corda altri candidati. Se i vertici juventini fossero davvero convinti del Pirlo-bis, non ci sarebbe il rumoroso tam tam attorno alla panchina. Pirlo perciò si gode l’attimo, finché dura. Chiudere con le due coppe italiane più il posto nell’Europa più ricca, cioè l’obiettivo minimo, in fondo sarebbe una missione portata a termine. Ma lo sanno tutti, lui per primo: la Juve voleva molto di più. Pirlo festeggia e balla: può diventare il terzo allenatore bianconero di fila a salutare con un trofeo in mano. La Coppa luccica, è inebriante, ma piena di dubbi.

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Altra festa bianconera A Reggio Emilia, dopo la conquista della Supercoppa, la Juve alza la Coppa Italia

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