SCELTA GIUSTA NEL SEGNO DEL MERITO
Scelta migliore Malagò non avrebbe potuto fare. Jessica Rossi e Elia Viviani sono due olimpionici, hanno regalato all’Italia medaglie d’oro importanti in due discipline su cui l’Italia ha costruito medaglieri in tantissime edizioni dei Giochi. Insomma hanno tutti i requisiti sportivi, e non solo, per rappresentare la squadra azzurra che andrà a Tokyo. Nei giorni scorsi erano spuntate altre candidature, come quella della pallavolista Paola Egonu, con un forte valore simbolico. Un’atleta notevole, intendiamoci, che però con la maglia azzurra non ha ancora conquistato un oro olimpico, come invece i due portabandiera. Ci auguriamo succeda presto, magari già in Giappone, ma per adesso è così. Non sfugge a nessuno, tantomeno alla Gazzetta, la simbolicità di una designazione della Egonu. Riteniamo però che ricondurre una scelta così significativa al quasi esclusivo tema della multietnicità sia sbagliato. Il primo e tuttora più forte messaggio antirazzista è arrivato dallo sport, nel 1936, quando Jesse Owens stravinse davanti a Hitler, il dittatore che in nome della supremazia della razza sterminò milioni di ebrei, rom, uomini, donne e bambini di colore. Il pugno alzato di Tommie Smith e John Carlos ai Giochi messicani del ’68 rimane uno dei gesti più iconici e potenti della battaglia afroamericana per affermare i propri diritti negli Stati Uniti. E anche il recentissimo Black lives matter ha avuto nello sport la più efficace cassa di risonanza.
Ma il senso dei portabandiera è un altro. Oltreché rappresentativi della squadra azzurra, devono anche aver contribuito a fare la storia dell’Italia alle Olimpiadi. Contano i meriti sportivi. Altri requisiti non devono entrare. Essere un’atleta donna o di colore non deve essere assolutamente un discrimine, ci mancherebbe. Ma non deve neppure diventare un requisito. Così come non può esserlo la mediaticità. Arrivo a dire, anzi, che l’onore di portare la bandiera dovrebbe casomai premiare quegli atleti di cui il Paese si ricorda solo due settimane ogni quattro anni. Che non hanno sponsor personali, che non hanno giornalisti che li assediano con le richieste di interviste. Che prendono poco e danno invece molto. Il nostro medagliere è pieno di storie così. Alle Olimpiadi del 2016 a Rio la portabandiera fu Federica Pellegrini, caso più unico che raro di mediaticità, capacità di rappresentare un’intera squadra, valore assoluto mondiale. Ma di Pellegrini ne abbiamo una nella nostra storia olimpica. Gli ori del nuoto sono relativamente recenti. Nell’atletica, l’altra disciplina olimpica per eccellenza, non conquistiamo un oro da Pechino 2008, tra l’altro con Schwazer, un uomo a cui è stata negata fino all’ultimo la possibilità di ripresentarsi nonostante la giustizia abbia accertato l’innocenza. Il ciclismo è al secondo posto dietro alla scherma nella classifica degli ori vinti dall’Italia alle Olimpiadi. Il tiro, sia a volo che a segno, ha salvato spesso i nostri numeri ai Giochi. Ricordare tutto questo non solo durante o subito dopo la fine dei Giochi, ma anche prima, al momento di scegliere i portabandiera, mi pare giusto. Quando premi chi l’ha meritato non sbagli mai.