La Gazzetta dello Sport

Atalanta un passo in più

La Dea frena quando vede la gloria Gasp rilancia

- di Andrea Elefante

Più esperienza, più lucidità: bisogna crescere sotto l’aspetto psicologic­o ed evitare momenti di poco equilibrio in fase difensiva

Scavare dentro la delusione del momento. Verificare cosa c’è dietro quello strato di incompiuto che il vedere la Coppa Italia in mano altrui le ha lasciato addosso: è questo l’oggi e il domani dell’Atalanta, ora impegnata a leggere i messaggi lasciati in eredità dalla finale di mercoledì sera. Un’autostima rinnovata dai primi 45’, sintesi perfetta della squadra che in questa stagione ha saputo superarsi ancora, e non sarà una finale persa a poterlo far passare in secondo piano; che è già certa di una qualificaz­ione Champions che invece rivali big come Juve e Milan sono ancora oggi costrette a vagheggiar­e, contendend­osela; che ha confermato come non ci sia nulla di provvisori­o, o improvvisa­to, nella sua crescita. Però è una parabola non ancora completata, ha detto quella partita. Meritare di vincere a volte non basta in assoluto, tanto più se lo si fa solo per mezza partita. E’ l’altra faccia delle consapevol­ezze della Dea: se sorge spontaneo il chiedersi perché le sia capitato ancora una volta di fermarsi ad un centimetro dal traguardo, è altrettant­o naturale domandarsi in cosa migliorare.

Può servire a non tirare di nuovo il freno, la prossima volta. Era successo due anni fa, nella finale di Coppa Italia contro la Lazio, anche se allora l’Atalanta si ritrovò le ruote bloccate da ganasce. E’ successo di nuovo l’estate scorsa contro il Psg nei quarti di Champions, in fondo anche a febbraio contro il Real Madrid, l’altra sera contro la Juve. Psg, Real, Juve: tre corazzate guardate negli occhi, prima di farsi bruciare da sguardi ancora più esperti, nonostante il cammino europeo degli ultimi anni, soprattutt­o gli ultimi due, abbia accresciut­o le conoscenze e le attitudini della squadra di Gasperini. Che però si è come sgonfiata un po’, bucata dalla pressione. Sempre alla distanza, due volte al tramonto della partita, come se sentisse all’improvviso il peso del dubbio: di non essere abbastanza grande, ancora grande come loro. Un Davide che si ritrova senza più pietre nella fionda.

Il destino contro

Non una flessione fisica: semmai un calo mentale, e la testa ha sempre fatto andare le gambe nerazzurre non meno del lavoro richiesto da Gasperini. Questione di mestiere, lucidità, sangue freddo, forse addirittur­a di troppa voglia. Di lettura dei momenti e gestione degli stessi, soprattutt­o quelli contrari: contro la Lazio il fallo non punito di Bastos, l’infortunio di Freuler a Lisbona, la sua espulsione contro il Real, il mancato rigore su Pessina e il fallo di Cuadrado su Gosens a Reggio Emilia. Non sindrome o complesso, ma indebolime­nto, da complotto: a volte del destino, altre volte di torti più o meno sospetti.

Squiibri e lampi

Ma sarebbe riduttivo ricondurre tutto all’aspetto psicologic­o: anche la partita con la Juventus ha vissuto dell’influenza di risvolti puramente tecnici. Il calcio dell’Atalanta accetta il rischio di sbilanciar­si, ma mercoledì è stata questione di squilibri, più che altro: il primo gol preso con l’area comunque piena, anche se l’azione era viziata in partenza, e il secondo a difesa quasi schierata. Sono inciampi da distrazion­e, o da meccanismi che a volte si riscoprono ancora imperfetti, anche nella fase difensiva collettiva. La seconda sentenza calcistica dell’altro ieri riguarda Ilicic: con Zapata, Muriel e Malinovsky­i in rosa, immaginare per lui ancora uno status da titolare è complicato, ma la sua versione da subentrant­e è sempre più spesso zoppicante. Eppure l’imprevedib­ilità e la specificit­à di certi lampi, di certi colpi, a volte mancano: quelli di Kulusevski e Chiesa - cento milioni in due - in fondo hanno deciso la finale. Un investimen­to così l’Atalanta non può e non vuole permetters­elo, anche perché ha Miranchuk in fase di decollo; l’idea di cercarne anche un altro che abbia certe caratteris­tiche a prezzi inferiori sì: è pure così che si riducono i centimetri da quel famoso traguardo.

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ANSA La seconda finale persa Gian Piero Gasperini, 63 anni, quinta stagione sulla panchina dell’Atalanta

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