Un predestinato tra parate e baci, soldi finti e fascia
Ititoli di coda sono bagnati dal pianto di Bergamo, o colorati dalle stories su Instagram con Kessie a Champions appena conquistata. Tutto il resto, per adesso, è silenzio, come quello che avvolgeva San Siro nello 00 contro il Cagliari del 16 maggio: i tifosi del Milan non lo sapevano ancora, ma quella notte Gigio Donnarumma aveva messo piede per l’ultima volta da rossonero nello stadio che lo ha visto debuttare e diventare grande. La pandemia che tutto ha rimodellato gli ha risparmiato fischi, striscioni, o magari cori, chissà: niente banconote false come quella volta a Cracovia, niente più «Dollarumma» urlato dagli spalti, almeno fino alla prossima apparizione in pubblico e davanti al pubblico. Che cosa succederà a Roma, per il debutto azzurro all’Europeo, o prima ancora a Bologna, in amichevole con la Repubblica Ceca, apertura del Dall’Ara permettendo?
Sassuolo e spy-story
Quel che è certo è che da un Europeo all’altro è cambiato tutto. Nell’estate del 2017, in Polonia, Gigio debuttava al torneo Under 21 nel pieno della tempesta: l’affare rinnovo era diventato un braccio di ferro infinito tra Raiola e il Milan (quello di Mr. Li, Fassone e Mirabelli). Ultimatum, visite diplomatiche di Montella a casa dei Donnarumma a
Castellammare di Stabia, tweet contraddittori e gialli mai chiariti del tutto su presunti hacker in azione. Tutto, dopo mesi di trattativa snervante, si era risolto con la firma di Gigio, diventato il 18enne più pagato d’Italia: 6 milioni all’anno, più uno al fratello Antonio, ingaggiato per l’occasione. La volontà del gioiello rossonero aveva fatto la differenza, perché il Milan era casa sua e al Milan doveva tanto. I rossoneri erano stati i primi a credere nelle sue qualità e lo avevano portato al Vismara quando aveva 14 anni, poi Gigio si era fatto spazio bruciando le tappe, come riesce solo ai predestinati. Sempre una categoria più su rispetto alla sua età, fino al debutto da professionista a 16 anni e 8 mesi, contro il Sassuolo nell’ottobre del 2015. «Galliani mi chiese per tre volte se stavo scherzando – ricorderà Mihajlovic, allora allenatore rossonero –, Berlusconi venne a Milanello per convincermi a mettere Diego Lopez e gli dissi che poteva mandarmi via e far giocare Lopez o tenermi e vedere in porta Gigio. Per sua fortuna, mi ha tenuto».
Amore e odio
Da quel pomeriggio Donnarumma è diventato una colonna del Milan. Lo ha tenuto a galla nei momenti più difficili e lo ha esaltato nelle notti decisive. Come a Doha, Supercoppa 2016, unico trofeo vinto in sei anni con il Diavolo: Gigio para l’ultimo rigore di Dybala e strappa il successo alla Juve dei cannibali. Sempre loro, «sempre a loro», come avrebbe urlato un anno dopo allo Stadium dopo un contestatissimo rigore al 97’, baciando lo stemma del Milan. Un simbolo potente, diventato arma a doppio taglio a seconda degli umori dei fan: ora messaggio di amore per il club che lo ha cresciuto, ora gesto ipocrita smentito dai fatti. I fatti, quelli sul campo, raccontano di una crescita costante in questi anni: sempre più parate determinanti e sempre meno errori, praticamente azzerati in questa stagione da Champions, proprio come sognava fin da piccolo. Tutto perfetto tranne il finale. Gigio è entrato al Milan da ragazzino e ha chiuso da capitano, ma talento e fascia non bastano per diventare il prossimo Baresi o Maldini.
L’ultimo rinnovo
Nel 2017 accadde di tutto: giallo social e Montella in visita dai suoi
Quel gesto Il bacio allo stemma del Milan ha fatto discutere i tifosi rossoneri