Ciao Roccia
Addio a Burgnich fortissimo difensore della Grande Inter e della Nazionale
Discreto com’era, ha aspettato che la sua Inter vincesse lo scudetto per non guastare la festa a nessuno. Poi, provato dalla lunga malattia, Tarcisio Burgnich ha raggiunto i suoi compagni della difesa nerazzurra, Sarti, Facchetti e Picchi, per sognare altre partite in quello squadrone costruito da Angelo Moratti e guidato da Helenio Herrera. Una grande Inter con un grande Burgnich, anche se sarebbe riduttivo legare il suo ricordo soltanto a quei colori, perché la “Roccia”, come lo aveva soprannominato Picchi dopo una partita contro la Spal, ha giocato e vinto con altre squadre. Nato il 25 aprile 1939 a Ruda, in Friuli, terra di veri uomini prima che di veri campioni come Dino
Zoff, debutta in Serie A con la maglia dell’Udinese. Gli bastano otto partite per guadagnarsi le attenzioni della Juventus, che nell’estate del 1960 lo porta a Torino e gli permette di vincere il suo primo scudetto.
Dopo la Juventus
Il primo scudetto e poi il Palermo
Il giovane Burgnich ha 22 anni e sogna di rimanere a lungo nella Juventus, ma dopo 13 partite si ritrova a Palermo. Sembra un declassamento e invece è il trampolino di lancio per la sua splendida carriera. Passa all’Inter e diventa subito insostituibile. Dodici anni con la maglia nerazzurra, dal 1962 al 1974, con 357 presenze in A, dicono molto ma non spiegano le qualità tecniche e umane di Burgnich, che si fa benvolere da tutti, compagni e tifosi, per la sua straordinaria e silenziosa professionalità. Maglia numero 2 sulle spalle, come tutti i terzini destri dell’epoca, è il secondo marcatore della squadra, insieme con lo stopper Guarneri che gioca al centro, destinato quasi sempre a controllare l’ala sinistra, l’attaccante con il numero 11 che gli arriva davanti. Da Pascutti a Prati, da Bettega a Riva. E tutti, dopo essere stati marcati da lui, riconoscono la sua correttezza.
Un gran terzino
Difensore duro però mai cattivo
Perché Burgnich non era un angioletto, ma i suoi falli non erano mai cattivi, tanto è vero che non ha mai fatto male a nessuno, perché sapeva giocare con i piedi e con la testa, senza entrare fuori tempo. Forte in elevazione, perfetto nell’anticipo, era una sicurezza, anzi una “roccia”, pedina indispensabile in una delle difese più forti del nostro calcio. E anche grazie a lui l’Inter vin
ce 4 scudetti: nel 1963, nel 1965, dopo l’unico spareggio perso contro il Bologna nel 1964, nel 1966 e l’ultimo, 50 anni fa, nel 1971. Ma soprattutto vince due Coppe dei Campioni, le prima nella storia dell’Inter, nel 1964 a Vienna contro il Real Madrid di Puskas, Gento e Di Stefano e un anno dopo a San Siro contro il Benfica di Eusebio, con l’aggiunta di due Coppe Intercontinentali.
Stella azzurra L’Europeo e il Mondiale
Titolarissimo nell’Inter e titolarissimo in Nazionale, scelto la prima volta da Mondino Fabbri, il 10 novembre 1963 a Roma contro l’Urss, quando per la prima volta si compone anche in azzurro il trio SartiBurgnich-Facchetti. Da allora, poco alla volta, strappa il posto a Robotti, diventando titolare un anno dopo quando nasce la squadra che con lui vincerà l’Europeo, regalando l’unico titolo continentale al nostro calcio, dopo la finale bis vinta 2-0 contro la Jugoslavia. Valcareggi, due sere dopo l’1-1, cambia cinque uomini, ma non lui. Campione d’Europa e vicecampione del mondo due anni più tardi, quando Burgnich riesce ad andare in gol nella semifinale contro la Germania Ovest, nella stessa porta dove il milanista Schnellinger aveva firmato l’1-1 al 90’. Nel primo tempo supplementare segna la rete del provvisorio 2-2, prima di festeggiare il 4-3 di Rivera. La finale contro il Brasile finisce male per tutti, lasciandogli la beffa di quella foto rivista nelle ultime ore in cui Pelé lo precede di testa per l’1-0. Un rimpianto che non lo ha mai abbandonato, perché ha sempre ricordato di essere stato un pollo avendo sbagliato a fare un passo avanti, permettendo così a Pelé di fare un figurone.
Fine carriera Libero di un Napoli bellissimo
La sua carriera in azzurro, però, non finisce lì, perché Burgnich rimane titolare fino al Mondiale successivo in Germania Ovest, dove chiude la sua avventura azzurra con 66 presenze. In quell’ultima squadra di Valcareggi, Burgnich gioca nel suo nuovo ruolo di libero, a conferma della sua duttilità tattica e tecnica, e in quella nuova posizione passa al Napoli, allenato da Luis Vinicio. È il Napoli più bello, prima dello scudetto con Maradona, capace di arrivare al secondo posto alle spalle della Juventus, in cui Burgnich è l’unico che gioca tutte le partite. Con il Napoli, dopo tre stagioni da applaudito professionista, chiude la carriera a 38 anni, vincendo i suoi ultimi titoli, una Coppa Italia e la Coppa di Lega Italo-Inglese.
L’allenatore Al Bologna lancia Mancini
Dal campo alla panchina, da difensore ad allenatore, Burgnich vince di meno, ma continua a essere un esempio per tutti, specialmente per i giovani che sa scoprire e istruire con la sua paziente serenità. E non a caso, nell’unica stagione in cui allena il Bologna, è lui a promuovere subito titolare in Serie A Roberto Mancini, quando non ha ancora 17 anni, facendolo debuttare il 13 settembre 1981 contro il Cagliari. È soltanto una delle tantissime squadre che hanno avuto la fortuna di essere allenate dal professionista Burgnich e dall’uomo Tarcisio. La “Roccia” che nessuno dimenticherà mai e che ci piace immaginare abbracciato a Sarti, al suo vecchio compagno di camera Facchetti e al suo capitano Picchi, perché oggi è il 27 maggio, guarda caso proprio lo stesso giorno in cui festeggiarono insieme le due Coppe dei Campioni della loro Grande Inter.