Olimpia-Barça e le sagge parole dell’Arte della guerra
ontano da me pensare di suggerire a un allenatore di vertice come affrontare una partita importante come la semifinale di stasera fra l’AX Milano e il Barcellona.
In una Final Four non si inventa nulla. Ciò che la squadra sa fare è stampato nella testa dei giocatori come nel marmo. L’unica (quasi) certezza è che la partita sarà punto a punto. Quello che i coach Jasikevicius e Messina diranno ai loro giocatori sarà più o meno: «Ehi, noi siamo arrivati qui giocando il nostro basket! Vediamo se loro sono in grado di contrastare il nostro gioco. Noi non dobbiamo adattarci a nessuno, ma essere noi stessi». Gli allenatori la chiamano identità, che però va unita a quelli che gli americani chiamano adjustments, adeguamenti. Cioè per esempio: come difenderemo contro questa loro opzione? E qui entra in gioco la conoscenza dell’avversario. Sei secoli prima di Cristo, nell’“Arte della guerra” il generale cinese Sun-Tzu scriveva che la chiave della vittoria è conoscere il terreno, che in questo caso non vuol dire conoscere il campo di gioco ma, come mi piace dire, prendere la temperatura della partita. Posso dare un anticipo su questo: farà un caldo torrido, si respirerà aria pesante, la battaglia sarà sia fisica sia tecnica. Ed eccoci alla parola chiave: equilibrio. L’Olimpia dovrà giocare con fuoco (intensità) e ghiaccio (calma). Usare le gambe e il cuore, le mani e il cervello. E nessuno dovrà pensare “devo salvare la partita io”. Dicevo sempre, prima di partite così: «Se giocate insieme, qualcuno emergerà e ci farà vincere, ma non so chi. E non lo sapranno neanche loro». Certo, in campo sarà un uragano. Ma non serviranno ombrelli. Ci vorranno esperienza e personalità. E in questo, l’Olimpia è ben attrezzata.
Ldi na carambola di sorprese così era difficile da immaginare. L’onda lunga di un campionato anomalo sta cambiando i connotati di quasi tutti i club. La Juve è tornata alle certezze di Allegri dopo aver sperimentato soluzioni diverse (Sarri) e preso il rischio di una scommessa (Pirlo). L’Inter, che ha coronato solo poche settimane fa l’inseguimento allo scudetto assente da una vita, è rimasta senza le certezze (Conte) e preso il rischio di una scommessa (Simone Inzaghi). Con una differenza non banale: la Juve il ribaltamento l’ha voluto, l’Inter no. Sulle ragioni che hanno portato Conte e l’Inter alla separazione si potrebbe scrivere un romanzo. Già alla fine della stagione scorsa, chiusa con un secondo posto carico di promesse e una finale di Europa League, le tensioni tra i dirigenti nerazzurri e l’allenatore erano al limite. I mesi trascorsi in apnea con l’obiettivo dello scudetto hanno solo messo tra parentesi problemi antichi evidentemente ancora vivi. In una separazione le ragioni e i torti sono difficili da attribuire con nettezza. Faccio solo due considerazioni di cui sono convinto: senza Conte il
Ufarturi@rcs.it alla fine l’hanno fatto. I cinesi hanno smontato la macchina-Inter che aveva appena messo fine all’era Juve. Un delitto…
ECarlo Rinielli
Senza nessun offesa, signor Rinielli, ma i Maneskin “europei” le risponderebbero così: «Parla, la gente purtroppo parla, ma non sa di che cosa parla». Un po’ brutali, ma veri. Il loro “Zitti e buoni” può valere per i tifosi, certamente. Molti di loro non hanno ancora afferrato che l’alternativa non è fra una formazione forte e un’altra di nostro campionato è più povero, senza Conte lo scudetto l’Inter non l’avrebbe mai vinto. Ora però un romanzo è finito e c’è da scriverne un altro. Simone Inzaghi è un tecnico che somiglia a Conte nel pensiero tecnico, ma è tutto diverso, e ci mancherebbe, per quanto riguarda il resto dell’armamentario che si porta portofranco@rcs.it meno, ma fra una squadra e il niente. Nel nostro caso, fra una buona Inter e un club fallito. Che non può più confermare una rosa dal monte ingaggi di quasi 150 milioni e un allenatore che da solo ne prendeva 12 netti. La festa è proprio finita. Auguri a tutti quelli che non ci stanno, come i Conte e i Donnarumma: che possano trovare i progetti e i soldi giusti. Non ho mai condiviso le indignazioni populiste di chi si scandalizza degli ingaggi di tanta gente del calcio. In un’economia di mercato, chi produce (denaro, divertimento, emozioni), ha dietro ogni allenatore. Diverso il modo di gestire i giocatori, diverso il modo di porsi con la società. Zhang ha spiegato le difficoltà che deve affrontare e risolvere. Ridimensionamento dei costi e taglio del debito. Fare un utile di 100 milioni sul mercato non sarà facile, anche se da Campioni d’Italia è aumentato il valore di chiunque oggi sia nella rosa diritto di ricavarne il massimo. Del resto se Ronaldo prende 31 milioni netti a stagione, più o meno altrettanti finiscono in tasse alla fonte allo Stato. Magari per medici e infermieri. Piuttosto mi sono nerazzurra. Inzaghi non sarà di sicuro un tecnico che ostacolerà o renderà difficoltose le operazioni della società. Non lo ha mai fatto alla Lazio, a maggior ragione non lo farà ora all’Inter. Il club ha però la responsabilità, oltreché dei conti, anche dei milioni di tifosi che rappresenta. Si può alleggerire il peso del monte ingaggi sempre chiesto che differenza esistenziale esista fra guadagnare 4,5 milioni netti all’anno e prenderne 8. Cioè, una volta che ti sei tolto lo sfizio della Ferrari, di una casa spaziale e del futuro assicurato ai tuoi figli (e magari anche ai loro figli), col resto che ci fai? Lo chiederei, con totale rispetto e reale curiosità, non solo all’ex portierone del Milan, ma anche al bravissimo Calhanoglu. E a tutti i giocatori che stanno rifiutando i tagli di stipendio. Anche loro non hanno ancora capito.
Il reddito medio mensile netto di una famiglia in questo Paese è di 2700 euro scarsi, da dove escono pure i soldi per lo stadio o la pay Tv. Forse la tremenda crisi innescata dal Covid ci obbligherà a un passo avanti verso la consapevolezza. Sembra proprio che il calcio abbia dragato ogni forma di capitale possibile per finanziare la sua pazza corsa al rialzo finanziario. La Superlega ne è stata la dimostrazione lampante: una mossa disperata di disperati. Più in là perdendo il meno possibile dal punto di vista tecnico. Fare a meno di un paio di titolari, restando una squadra competitiva in Italia e in Europa è possibile, purché si investa bene, preferibilmente in giovani di talento. Ci sono esempi in Italia, e non solo, di società che hanno saputo tenere insieme bilancio virtuoso e risultato tecnico. Alleggerirsi senza indebolirsi è la sfida che deve affrontare l’Inter. Inzaghi ha davanti un Everest di attese enormi da scalare: fare un campionato di testa, andare avanti in Champions League dove c’è tutto un altro calcio. Non può farlo senza il sostegno convinto e totale della società. Se però Marotta ha cercato fino all’ultimo Allegri significa che non ha rinunciato a grandi obiettivi, non li cambierà solo perché ha dovuto sterzare su Inzaghi. Certo dovrà competere con un’altra Juve, meno sperimentale, più concreta, risoluta. Allegri è tornato in un club che conosce bene con un presidente, Agnelli, che l’ha fatto andar via malvolentieri e che l’ha ripreso preferendolo ad altre opzioni. Allegri rimodellerà la Juve non senza qualche scelta sorprendente per vincere subito in Italia e dare un segno in Europa. Sa come si fa. di questo, ci sono i vari “schemi Ponzi”, ma è roba da galera e non credo che nessuno vorrà arrivarci. Si dice spesso che il successo in questo campo è sempre di chi piazza più dollaroni nelle tasche dei Raiola e dei loro assistiti. E che le favole Leicester sono sogni eccezionali. Siamo così sicuri? E il Villareal non ha appena sottratto la coppa al Manchester United, uno dei grandi galeoni foderati di dobloni d’Europa? E l’Atalanta non è finita davanti alla Juve, spendendo sei volte meno? E il Milan non è arrivato secondo con la squadra più giovane d’Europa e con le mosse “creative” (rubo l’aggettivo a Maldini) di un Kjaer o un Saelemaekers da 3,5 milioni ciascuno? Mi pare invece che queste “sorprese” siano sempre più numerose: dal Porto allo Shakhtar, passando dal Lille campione di Francia e dal West Ham a due punti dalla Champions. E allora, forza ragazzi: la parola al campo, ai giovani, al lavoro, alle idee di tecnici in gamba. Oltre un certo limite, il tifo è follia.