Ex Ilva: disastro ambientale Condanne durissime per i Riva Tre anni e mezzo a Vendola
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In primo grado oltre vent’anni per i manager precedenti. L’ex governatore: «Io mi ribello»
«Disastro ambientale» e condanne pesanti. Riconosciute le sofferenze di Taranto, urlano le associazioni ambientaliste e le famiglie di tanti operai. Green Italia l’ha definita la «prima conferma di una verità evidente da tempo a chiunque conosca la storia pluridecennale dell’ex Ilva e del suo inquinamento “impunito”». È la sentenza di primo grado, con cui ieri la Corte d’Assise ha condannato a 22 anni di reclusione Fabio Riva e a 20 il fratello Nicola, ex proprietari del gruppo siderurgico e principali imputati. I giudici hanno anche disposto la confisca degli impianti dell’area a caldo per il reato di disastro ambientale imputato alla gestione Riva, così come era stato chiesta dai pm. Il sequestro, però, non limita la facoltà d’uso agli attuali gestori, non pregiudicando la produzione e l’attività nella più grande acciaieria d’Europa con 8.200 dipendenti diretti: la misura potrà scattare solo dal terzo grado di giudizio.
La gioia delle famiglie
Una sentenza storica. Tra i 47 imputati del processo “Ambiente Svenduto”, condannato a tre anni e mezzo di reclusione l’ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola: i pm avevano chiesto la condanna a cinque anni. Era accusato di concussione aggravata in concorso, in quanto avrebbe esercitato pressioni sull’allora d.g. di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far «ammorbidire» la posizione della stessa Agenzia nei confronti delle emissioni nocive dell’Ilva. Assennato è stato condannato a due anni: avrebbe taciuto delle pressioni subite dall’ex governatore, affinché attenuasse le relazioni dell’Arpa a seguito dei controlli ispettivi ambientali. La reazione di Vendola, che si è autodefinito un «agnello sacrificale», è stata veemente: «Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità». Tra i condannati, inoltre, Adolfo Buffo (quattro anni), ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto, ed attuale direttore generale di Acciaierie d’Italia (società tra ArcelorMittal Italia e Invitalia), Luigi Capogrosso (21 anni), l’ex direttore del siderurgico, e Girolamo Archinà, ex consulente dei Riva per le relazioni istituzionali (21 anni). Assolto, invece, il prefetto Bruno Ferrante, presidente dell’Ilva nel periodo più difficile del siderurgico (luglio 2012). Luca Perrone, legale di Fabio Riva, ha detto: «I Riva hanno costantemente investito ingenti capitali al fine di migliorare gli impianti». E l’avvocato Pasquale Annicchiarico, difensore dell’altro imputato, ha spiegato: «Nicola Riva è stato presidente solamente due anni e, sotto la sua presidenza, si sono raggiunti i migliori risultati ambientali della gestione Riva». Il ministro dello Sviluppo, Giancarlo Giorgetti, si è soffermato sulle prospettive future: «Rispettiamo la sentenza, manca la pronuncia del Consiglio di Stato per avere il polso della situazione. A quel punto sarà possibile capire in che quadro giuridico lo Stato, in qualità di azionista, potrà operare». Anche i rappresentanti del movimento “Giustizia per Taranto“, insieme a quelli del movimento Tamburi Combattenti e delle associazioni che aderiscono al Comitato per la Salute e per l’Ambiente, hanno accolto in strada la lettura della sentenza con applausi e abbracci. «La giustizia finalmente si riaffaccia sul territorio tarantino dopo essere stata ai margini per tanto tempo come il Cristo che si è fermato», ha spiegato Massimo Castellana, portavoce dell’Associazione Genitori Tarantini. E il governatore Michele Emiliano ha aggiunto: «La giustizia ha fatto il suo corso».