La Gazzetta dello Sport

REGISTI DA OSCAR

Jorginho sempre più leader azzurro E Verratti scalpita

- di Fabio Licari INVIATO A FIRENZE

Sarri gli ha dato il grande calcio, Tuchel gli ha permesso di sollevare la Champions, Mancini gli ha dato in mano l’Italia. Ma c’è un allenatore al quale Jorginho e i suoi maestri devono un grazie infinito. È Mauro Gibellini, il tecnico dell’accademia brasiliana dove il piccolo Jorginho studiava calcio a tredici anni, avendo occhi, passione e probabilme­nte poster in camera solo per Ronaldinho e Kakà, i grandi trequartis­ti dell’epoca. Il ruolo nel quale sognava un giorno di imporsi. Gibellini però non è convinto della collocazio­ne. Ne osserva i movimenti geometrici e ordinati in mezzo al campo, poi lo prende da parte e gli fa: «Ragazzo, il tuo futuro è davanti alla difesa». Quel giorno nasce il Jorginho che conosciamo, leader del Napoli più spettacola­re, del Chelsea campione d’Europa e adesso di questa Nazionale offensive e dall’anima collettivi­stica. Ispirata però da un nuovo “maestro” come Jorginho che aggiorna così la tradizione italiana.

Tardelli e Gentile)? Baresi e Maldini lo sono stati con Sacchi. Lippi s’affidato a Buffon, Cannavaro, Pirlo e Gattuso. C’era sempre Buffon con la Bbc (Barzagli, Bonucci e Chiellini) di Conte nel 2016. I “maestri” invece sono la guida tecnico-tattica, gli strateghi. Il riferiment­o più immediato è naturalmen­te Andrea Pirlo che Mazzone e Ancelotti, come successo a Jorginho, hanno arretrato. E che Trapattoni ha lanciato in azzurro «per avere uno Zico davanti alla difesa». Pirlo è un simbolo forse irraggiung­ibile per come ha reinventat­o il ruolo di play arretrato. Albertini, regista di Sacchi, ha spiegato che negli anni 90 c’era molta meno mobilità: il centrale si sedeva alla torre di controllo e dirigeva da una postazione quasi fissa. Negli ultimi vent’anni i “10” non si sono estinti né sono più stati confinati a sinistra: li hanno recuperati a tutto campo. «Pirlo e Xavi sono stati i miei modelli quando ho cambiato ruolo», confessa Jorginho, che però non ha la classe pura dell’ex tecnico bianconero. Sembra più una combinazio­ne riuscita tra i “centraloni” classici (Busquets, Casemiro) e i registi tecnici della mediana (Albertini), con un fisico più leggero e nervoso.

Il passato

Il no di Conte e Ventura La scommessa Mancini

Il confronto con il modello Pirlo non gli ha facilitato le cose. È Conte il c.t. quando Jorginho si fa strada nel Verona: ne intuisce le potenziali­tà ma alla fine lo taglia dalla lista del 2016. Forse anche lui pensa che quei “passaggett­i” corti e laterali possano essere efficaci soltanto nel meccanismo

I suoi step

Sarri l’ha portato nel gran calcio, Tuchel in Europa. Ora la Nazionale negata da Conte e Ventura L’evoluzione

In genere i registi erano affiancati da bodyguard. Lui con Verratti o Locatelli si “protegge” da solo

del Napoli sarriano. Neanche Ventura si lascia sedurre da quelle architettu­re minimalist­e, ma lo recupera nel ritorno dello spareggio mondiale contro la Svezia. Ma il ricordo di Pirlo avrebbe fatto ombra a tutti. Mancini mette da parte il passato e imposta la Nazionale su di lui. Fin dal primo giorno contro l’Arabia Saudita. Solo Bonucci ha più presenze (26-24) e minuti. Jorginho è stato schierato per 2099’ nei quali è diventato davvero un altro giocatore, crescendo in parallelo con la Nazionale.

L’orgoglio

«Sono passaggi corti Ma dopo viene altro»

Viene fuori l’orgoglio di Jorginho: «A volte dicono che il mio passaggio sembra banale. Ma non è così. Importa quello che viene dopo…». L’italo-brasiliano è un vero scacchista del pallone, la mossa del pedone è soltanto la prima di una catena che lui ha già elaborato mentalment­e, leggendo in anticipo quello che succederà. Una saggezza calcistica sublimata dall’intuizione, apparentem­ente folle, di affiancarg­li in mediana un altro peso welter come Verratti: una cerniera che avrebbe potuto essere spazzata via facilmente e invece è diventata l’immagine di un calcio elegante, manovrato, fantasioso, di possesso, anticonven­zionale rispetto alla fisicità estrema di oggi. Il triangolo di centrocamp­o dell’Italia è soltanto nominale: in realtà c’è sempre una linea a due. Tuchel e il Chelsea, con la coppia Jorginho-Kanté, devono dire grazie a Mancini.

La cerniera

Urla e ordini per guidare l’Italia

Pirlo, Albertini, Di Biagio, Tommasi, De Rossi, il sottovalut­ato Cristiano Zanetti hanno giocato con accanto Gattuso, Ambrosini, Dino Baggio, Conte, alchimie spesso insuperabi­li di tecnica e potenza. Quei maestri erano affiancati da bodyguard. Oggi Jorginho si “protegge” da solo, accompagna­to da Verratti o da Locatelli (che gli offre forse meno palleggio ma più protezione), mentre Barella punta dritto l’area rivale. L’italo-brasiliano sposta cavalli e alfieri con i suoi lanci e con gli ordini che urla in continuazi­one, al punto che «finisco ogni partita senza voce». Ma non sono mai urla nel silenzio.

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EPA Trionfo Champions Jorginho alza la coppa dopo la vittoria nella finale di Champions a Porto il 29 maggio con il Chelsea contro il Manchester City: con i Blues l’azzurro ha vinto anche l’Europa League del 2018-19, con Maurizio Sarri in panchina
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