REGISTI DA OSCAR
Jorginho sempre più leader azzurro E Verratti scalpita
Sarri gli ha dato il grande calcio, Tuchel gli ha permesso di sollevare la Champions, Mancini gli ha dato in mano l’Italia. Ma c’è un allenatore al quale Jorginho e i suoi maestri devono un grazie infinito. È Mauro Gibellini, il tecnico dell’accademia brasiliana dove il piccolo Jorginho studiava calcio a tredici anni, avendo occhi, passione e probabilmente poster in camera solo per Ronaldinho e Kakà, i grandi trequartisti dell’epoca. Il ruolo nel quale sognava un giorno di imporsi. Gibellini però non è convinto della collocazione. Ne osserva i movimenti geometrici e ordinati in mezzo al campo, poi lo prende da parte e gli fa: «Ragazzo, il tuo futuro è davanti alla difesa». Quel giorno nasce il Jorginho che conosciamo, leader del Napoli più spettacolare, del Chelsea campione d’Europa e adesso di questa Nazionale offensive e dall’anima collettivistica. Ispirata però da un nuovo “maestro” come Jorginho che aggiorna così la tradizione italiana.
Tardelli e Gentile)? Baresi e Maldini lo sono stati con Sacchi. Lippi s’affidato a Buffon, Cannavaro, Pirlo e Gattuso. C’era sempre Buffon con la Bbc (Barzagli, Bonucci e Chiellini) di Conte nel 2016. I “maestri” invece sono la guida tecnico-tattica, gli strateghi. Il riferimento più immediato è naturalmente Andrea Pirlo che Mazzone e Ancelotti, come successo a Jorginho, hanno arretrato. E che Trapattoni ha lanciato in azzurro «per avere uno Zico davanti alla difesa». Pirlo è un simbolo forse irraggiungibile per come ha reinventato il ruolo di play arretrato. Albertini, regista di Sacchi, ha spiegato che negli anni 90 c’era molta meno mobilità: il centrale si sedeva alla torre di controllo e dirigeva da una postazione quasi fissa. Negli ultimi vent’anni i “10” non si sono estinti né sono più stati confinati a sinistra: li hanno recuperati a tutto campo. «Pirlo e Xavi sono stati i miei modelli quando ho cambiato ruolo», confessa Jorginho, che però non ha la classe pura dell’ex tecnico bianconero. Sembra più una combinazione riuscita tra i “centraloni” classici (Busquets, Casemiro) e i registi tecnici della mediana (Albertini), con un fisico più leggero e nervoso.
Il passato
Il no di Conte e Ventura La scommessa Mancini
Il confronto con il modello Pirlo non gli ha facilitato le cose. È Conte il c.t. quando Jorginho si fa strada nel Verona: ne intuisce le potenzialità ma alla fine lo taglia dalla lista del 2016. Forse anche lui pensa che quei “passaggetti” corti e laterali possano essere efficaci soltanto nel meccanismo
I suoi step
Sarri l’ha portato nel gran calcio, Tuchel in Europa. Ora la Nazionale negata da Conte e Ventura L’evoluzione
In genere i registi erano affiancati da bodyguard. Lui con Verratti o Locatelli si “protegge” da solo
del Napoli sarriano. Neanche Ventura si lascia sedurre da quelle architetture minimaliste, ma lo recupera nel ritorno dello spareggio mondiale contro la Svezia. Ma il ricordo di Pirlo avrebbe fatto ombra a tutti. Mancini mette da parte il passato e imposta la Nazionale su di lui. Fin dal primo giorno contro l’Arabia Saudita. Solo Bonucci ha più presenze (26-24) e minuti. Jorginho è stato schierato per 2099’ nei quali è diventato davvero un altro giocatore, crescendo in parallelo con la Nazionale.
L’orgoglio
«Sono passaggi corti Ma dopo viene altro»
Viene fuori l’orgoglio di Jorginho: «A volte dicono che il mio passaggio sembra banale. Ma non è così. Importa quello che viene dopo…». L’italo-brasiliano è un vero scacchista del pallone, la mossa del pedone è soltanto la prima di una catena che lui ha già elaborato mentalmente, leggendo in anticipo quello che succederà. Una saggezza calcistica sublimata dall’intuizione, apparentemente folle, di affiancargli in mediana un altro peso welter come Verratti: una cerniera che avrebbe potuto essere spazzata via facilmente e invece è diventata l’immagine di un calcio elegante, manovrato, fantasioso, di possesso, anticonvenzionale rispetto alla fisicità estrema di oggi. Il triangolo di centrocampo dell’Italia è soltanto nominale: in realtà c’è sempre una linea a due. Tuchel e il Chelsea, con la coppia Jorginho-Kanté, devono dire grazie a Mancini.
La cerniera
Urla e ordini per guidare l’Italia
Pirlo, Albertini, Di Biagio, Tommasi, De Rossi, il sottovalutato Cristiano Zanetti hanno giocato con accanto Gattuso, Ambrosini, Dino Baggio, Conte, alchimie spesso insuperabili di tecnica e potenza. Quei maestri erano affiancati da bodyguard. Oggi Jorginho si “protegge” da solo, accompagnato da Verratti o da Locatelli (che gli offre forse meno palleggio ma più protezione), mentre Barella punta dritto l’area rivale. L’italo-brasiliano sposta cavalli e alfieri con i suoi lanci e con gli ordini che urla in continuazione, al punto che «finisco ogni partita senza voce». Ma non sono mai urla nel silenzio.