Arrivo in Giappone Controlli, rigidità e tanta gentilezza
Formulari, tampone controllo delle app, lunghe attese e poi il trasferimento verso la città
Uno studioso del “rischio disastri” mette in guardia per possibili tifoni e terremoti
L’aria è calda, umida, appiccicosa. Tokyo è pronta per la prima Olimpiade in piena pandemia con il suo consueto clima estivo. Non a caso nel 1964 era stata organizzata in ottobre, ma allora non erano i contratti tv a dettare le date. Dalla scorsa settimana sono cominciati i massicci arrivi delle squadre, oggi toccherà al primo contingente italiano. È previsto anche un temporale e poi il sole con 33 gradi, che saranno percepiti come 43...
Lo sbarco
L’arrivo all’aeroporto, a noi è capitato per fortuna quello di Haneda, più piccolo e più vicino al centro rispetto a Narita, è molto più complicato rispetto alle passate edizioni olimpiche. Prima di sbarcare, sull’aereo addetti dell’organizzazione chiedono di compilare un formulario, una pratica veloce. Così si evita che si formi subito un ingorgo. A una stazione 200 metri più avanti controllano se sono state scaricate le due app, che aiutano noi ad avere le informazioni sulla salute e l’organizzazione e loro a sapere dove siamo in ogni momento, con tanti saluti alla privacy. Quindi viene dato un numero di identificazione per il successivo test salivare. Si attende, dopo una lunga camminata, il risultato. Con l’accreditamento si conclude il processo che dura 2-3 ore e dopo una salutare camminata di qualche chilometro. Gli addetti all’accoglienza sono gentilissimi, ma la maggior parte fa capo al Governo e quindi è attenta ai particolari nelle dichiarazioni riguardanti la salute. Chi non compila con precisione i formulari, che riguardano soprattutto i test richiesti 96 e 72 ore prima della partenza, rischia non solo lunghe attese, ma anche di essere rispedito a casa.
Efficienza
Per evitare contatti diretti con la popolazione i trasporti di tutte le persone collegate all’Olimpiade sono separati da quelli pubblici. Le squadre vengono portare direttamente al Villaggio o alla sede dove hanno deciso di ultimare la preparazione, i giornalisti e i tecnici al Terminal principale in città e da lì a ognuno viene dato un voucher gratuito per un taxi “sicuro” che lo porterà all’albergo. Coordinamento perfetto. La percentuale di giapponesi contrari ai Giochi è ancora alta, ma due giorni fa una dimostrazione davanti all’hotel che ospita Thomas Bach e il Cio, ha raccolto poca gente. Ormai sanno che la macchina organizzativa non può essere più fermata, ma non accettano che il Governo abbia acuito le restrizioni, all’acqua di rose rispetto alle nostre chiusure. Ci sorridono, ma preferiscono non parlare di quello che provano. Sono gentili, anche se irremovibili sulle regole. Non possiamo dare loro torto perché, se allentassero la presa, sarebbe poi difficile gestire la situazione. Non sono abituati all’improvvisazione e all’elasticità nell’interpretare delle norme. A infierire sul morale dei dubbiosi è intervenuto Hirotada Hirose, noto studioso del “rischio disastri”, che ha dichiarato che gli organizzatori avrebbero avuto tenere in considerazione il pericolo di terremoti e tifoni devastanti, che sono comuni in questa area del mondo seduta sull’Anello di Fuoco. È chiaro che un’affermazione simile fa nascere qualche dubbio anche all’ottimista più incrollabile.