La fantasia italiana al potere nell’Europeo del bel gioco
Da Euro 2020 esce un calcio un po’ diverso da quello cui eravamo più abituati. O meglio, esce un calcio molto vicino a quello giocato dalle squadre di club dei Paesi guida: più elaborato, meno dipendente dalle magie dei campioni, più offensivo rispetto al passato, in scia a una tendenza emersa nel dopo lockdown e favorita dalle anomalie delle gare a porte chiuse e della possibilità di cambiare mezza squadra durante la partita. Da Euro 2020 esce un calcio non più soltanto multietnico – con il 10% delle rose composte da giocatori nati in un Paese diverso e soprattutto con la presenza in campo di sempre più giocatori di famiglie di immigrati di prima e seconda generazione, solo in questo l’Italia non è parsa all’avanguardia – ma anche molto più globalizzato. Dei 14 calciatori più impiegati dalla Danimarca semifinalista, la sorpresa più grande di un torneo sorprendente, 4 giocano in Premier League, 4 in Serie A, 3 in Bundesliga, 2 nella Liga spagnola e 1 nella Ligue 1 francese. Nessuno in Danimarca o in altri Paesi calcisticamente minori. Arrivano cioè in tutte le nazionali giocatori con un patrimonio di conoscenze, tecniche, tattiche ed atletiche, acquisito nei campionati più importanti e sotto la guida degli allenatori migliori e più preparati. Il che consente ai commissari tecnici, ecco un’altra novità, di “allenare” le nazionali come fossero squadre di club. Si stempera la vecchia contrapposizione fra c.t. allenatori e c.t. selezionatori.
È stato l’Europeo dei tecnici di primo livello: di Mancini e di Luis Enrique; del danese Hjulmand, che si è formato alla scuola di Guardiola, Simeone e Klopp; di Petkovic e di quel che resta di Low, comunque uno studioso. L’unico selezionatore rimasto, Deschamps, è uscito presto e malamente. Pensava che i suoi fuoriclasse sarebbero stati
In questo Europeo si è battuto ogni record di gol segnati: 142, cioè 34 in più dell’edizione precedente. Per una media di 2,79 a partita. Mai negli ultimi 20 anni si era superata la media di 2,50. Ne sono stati segnati il 27,5% su calci da fermo: rigori, corner e punizioni laterali, uno solo (Damsgaard all’Inghilterra) su calcio di punizione diretto. Gli altri, il 72,5%, tutti su azione manovrata. In genere, con costruzione dal basso. Poche le reti in contropiede. Persino squadre come Croazia e Svizzera, fra le più difensive, hanno trovato la via del gol contro avversarie più qualificate, come Spagna e Francia, quando si sono trovate sotto di due e hanno perciò dovuto attaccare per forza. È stato l’Europeo del gioco propositivo. Quello sempre cercato da Mancini. Ecco perché ha vinto l’Italia, grazie peraltro anche al primo posto, a pari merito con l’Inghilterra, in una classifica piuttosto particolare, troppo spesso dimenticata: quella dei dribbling riusciti. La fantasia al potere, finalmente.