La Gazzetta dello Sport

Io mi fermo qui Federer resta a casa «Ho male al ginocchio spero di tornare presto»

La decisione di rinunciare all’Olimpiade comunicata sui social: Roger ha di nuovo bisogno della riabilitaz­ione. In forse gli Us Open, ma anche il prosieguo della carriera è a rischio

- di Riccardo Crivelli

Durante la stagione sull’erba ho avuto una ricaduta al ginocchio Sono molto dispiaciut­o, niente Giochi

Inizio subito con le cure, la speranza è di tornare prima della fine dell’estate. Tiferò da lontano

Roger Federer

Il sole tramonta anche sulla gloria delle divinità. Perciò, non ci sarà un oro olimpico in singolare nella carriera di Federer, a meno che voglia giocare fino a 43 anni. Ma dopo l’annuncio di ieri affidato ai suoi canali social, la prospettiv­a di vederlo di nuovo su un campo da tennis non riguarda il futuro che verrà, bensì i prossimi giorni e le prossime settimane, allungando un’ombra pesante su quel che resta del cammino del Maestro.

Quanti dubbi Roger non sarà ai Giochi, nessun viaggio a Tokyo dopo la delusione di Wimbledon, e le ragioni sono spiegate in uno scarno comunicato delle sei del pomeriggio: «Durante la stagione su erba purtroppo ho avuto una ricaduta al ginocchio e pertanto devo accettare di ritirarmi dai Giochi Olimpici di Tokyo 2020. Sono profondame­nte dispiaciut­o, dal momento che è sempre stato un onore rappresent­are la Svizzera ogni volta. Ho già iniziato il processo di riabilitaz­ione con la speranza di tornare entro la fine dell’estate. Auguro a tutto il team svizzero ogni fortuna e farò forte il tifo da lontano. Come sempre, “Hopp Schwiz”!». Dunque, malgrado le due operazioni cui si è sottoposto l’anno scorso e una gestione del calendario mirata a preservarn­e l’integrità, la preziosa articolazi­one di Federer (la destra) non mette giudizio. Sono due le parole che preoccupan­o, tra quelle scelte per annunciare al mondo una decisione che sarà stata comunque soffertiss­ima: riabilitaz­ione e speranza. Intanto, significa che il Divino ha bisogno di nuove cure al ginocchio sinistro, e per un atleta che compirà quarant’anni tra 25 giorni e dunque si ritrova con il fisico ammaccato da mille battaglie, iniziare di nuovo un percorso di terapie può portare a orizzonti inesplorat­i e non necessaria­mente benevoli per la parte agonistica. Affidarsi alla speranza, invece, rivela la volontà di tornare, ma senza alcuna certezza: e appare evidente, a questo punto, che siano a forte rischio anche gli Us Open di fine agosto. Cadrebbero così, uno dietro l’altro, i tre capisaldi su cui Federer aveva poggiato il rientro, a marzo, dopo 13 mesi di stop: Wimbledon, Olimpiade, New York. Già ad ottobre l’entourage aveva confessato che il recupero dall’infortunio non era stato rapido come sperato, ma una volta che si è ripresenta­to a Doha a fine inverno si immaginava un altro miracolo in stile 2017, sorretto da un talento senza eguali. E invece ha sempre faticato, colleziona­ndo appena 13 partite con un record di 9 vittorie e 4 sconfitte. L’ultima, particolar­mente bruciante, nei quarti degli amati Championsh­ips, con il 6-0 del terzo set contro Hurkacz che potrebbe rappresent­are il più triste degli epitaffi, nonostante le parole rassicuran­ti di quelle ore: «Quando bisogna passare attraverso un lungo percorso per tornare in campo, è necessario andare per fasi, ponendosi degli obiettivi. Il mio primo obiettivo era giocare a Londra, e ci sono riuscito. Ora devo vedere cosa ha funzionato e cosa no, come va il ginocchio e via dicendo. E da lì valutare cosa fare. Devo prendermi del tempo, senza fretta, e prendere la decisione giusta. Non credo che il ritiro immediato sia un’opzione: l’obiettivo è giocare ancora».

I precedenti A ogni modo, mentre milioni di tifosi sono in trepidazio­ne, la storia olimpica di Roger si ferma a quattro puntate, senza l’apoteosi di Tokyo dove sarebbe stato una delle icone dell’evento, accompagna­to dal contratto da 255 milioni di euro per 10 anni firmato proprio con una casa d’ abbigliame­nto giapponese nel 2018. Serberà certamente un dolce ricordo di Sydney, quando da sbarbatell­o con lo chignon e non ancora campione conclamato perse il bronzo ma iniziò a conquistar­e il cuore di Mirka conosciuta al Villaggio; porterà nel cuore la sfilata da portabandi­era ad Atene (poi ripetuta quattro anni dopo), malgrado la subitanea sconfitta con Berdych, lui che in quell’anno aveva già vinto in Australia e a Wimbledon; ammirerà l’oro di Pechino in doppio con Wawrinka, a questo punto probabilme­nte la sua unica perla a cinque cerchi; si macererà per quell’argento di Londra maturato dopo una leggendari­a semifinale con Del Potro (19-17 nel terzo set) che lo prosciugò di tutte le energie. A Rio, invece, non andò dopo i problemi al ginocchio (quella volta il sinistro) seguiti alla caduta in bagno con i figli. Allora tornò più forte. Stavolta ha il buio nell’anima.

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A testa bassa

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