IL NUMERO
era una volta il Dream Team del fioretto. Non che la Nazionale più forte che la scherma mondiale abbia mai conosciuto - capace dal 1992 di 4 ori olimpici su 5 nella gara a squadre e 5 ori su 7 nel torneo individuale fosse attesa a un en plein come nove anni fa a Londra. Quello fu il punto più alto dell’epopea azzurra, firmato da un’Elisa Di Francisca al top, dall’emergente Arianna Errigo e dalla leggendaria Valentina Vezzali agli ultimi scampoli di una carriera senza uguali. Ma nemmeno si pensava che a Tokyo si potessero leggere due pagine così amare. Prima il flop individuale, benché Alice Volpi abbia perso il terzo posto per una sola stoccata. Poi il bronzo a squadre di ieri. Che, diciamolo chiaro, non ci può far saltare di gioia. Soprattutto per come è maturato. Perdere con la Russia in finale avrebbe potuto anche starci, ma non la semifinale maturata in quel modo contro la Francia. Lì è venuto a galla il tallone d’Achille di una squadra che priva oggi di una leader carismatica - ha dilapidato un vantaggio di 11 stoccate a metà gara e che, nel serrate finale, si è squagliata come neve al sole. Soprattutto sono emersi i limiti di tenuta mentale di una fiorettista dal talento tecnico immenso come Arianna Errigo, evidentemente stritolata dal ricordo mai cancellato di quell’oro individuale che avrebbe già dovuto essere suo e che, invece, la monzese ha mancato prima a Londra, nella finale persa per una stoccata dalla stessa Di Francisca, e poi nei successivi assalti di Rio e Tokyo. Ci sarà tempo per riflettere dopo i Giochi, ma serviranno interventi drastici. Legittimo che Arianna, tre anni fa, abbia cercato di provare anche la strada della sciabola, in coabitazione col fioretto. Ma la vicenda ha poi toccato momenti di alta tensione tra atleta e Federazione, che hanno finito col togliere energie all’azzurra e a fare innervosire la dirigenza, colpendo di riflesso - non giriamoci attorno - anche le colleghe d’arma. Mai sapremo se il doppio impegno fosse praticabile. Sappiamo però che gli atleti di interesse olimpico, fatte salve le loro inclinazioni, devono rispondere alle scelte tecniche federali. Da qui bisogna ripartire. Per salvare il soldato Arianna, la faccia e il futuro del Dream Team.
C’Il rovescio della medaglia (di bronzo). Più forte la gioia per essere salite sul podio olimpico oppure la rabbia per una semifinale gettata al vento? Più grande il sospiro per aver evitato un flop clamoroso oppure il rimpianto di un’occasione perduta? Difficile dare una risposta definitiva, forse occorrerà aspettare qualche giorno. L’Italia si aspetta sempre il massimo dal fioretto, specie da quello femminile capace di andare a podio senza interruzioni da Los Angeles 1984, con un crescendo rossiniano culminato nell’exploit di Londra 2012 (tripletta individuale e oro a squadre). Certo, non sempre è domenica, ma sarebbe troppo semplice nascondere i problemi dietro a una medaglia. La squadra - questa squadra con Alice Volpi, Arianna Errigo, Martina Batini ed Erica Cipressa - ha molte potenzialità, ma pure un motore sempre a rischio rottura. Non sappiamo se il problema sia di testa oppure altro. Nei passaggi cruciali contro la Francia (poi surclassata in finale dalla Russia 45-34), quando la compattezza del gruppo può fare la differenza, le nostre hanno agito da singole. Ognuna per sé. Così non si fa molta strada. Ecco perché urge un chiarimento interno. Parigi 2024 è dietro l’angolo e non sempre si possono trovare soluzioni estemporanee per tappare le falle. Ieri è stato fantastico il modo in
Fin qui l’analisi, ma qual è il punto di vista delle protagoniste sul peso da dare alla medaglia? Prima della premiazione, con l’adrenalina ancora