La Gazzetta dello Sport

Aveva rischiato la vita Ma adesso Jakobsen è davvero rinato

Il 5 agosto 2020 il terribile incidente in Polonia Ieri l’olandese di nuovo primo in un grande giro

- ci. sco.

Fabio Jakobsen aveva avuto l’impression­e di stare per lasciare questa terra. «Ecco, sto morendo. Me lo ripetevo una, cinquanta, cento volte». Fabio Jakobsen, quando nell’agosto scorso era in ospedale per il tremendo incidente al Giro di Polonia, aveva ricevuto la visita di un prete: «In due occasioni me l’hanno mandato, io non sono religioso ma mi stava bene. Mi ha letto qualche passo della Bibbia in italiano, non capivo nulla però immagino stesse preparando un posto in Paradiso per me».

Percorso Adesso che a Molina de Aragòn questo ragazzo olandese di 24 anni è tornato al successo in volata in un grande giro, nella quarta tappa della Vuelta, dunque è definitiva­mente rinato dal punto di vista sportivo, non si può non pensare che sia un sopravviss­uto nel senso stretto del termine. Jakobsen, che si chiama Fabio in memoria del nostro Casartelli, aveva visto la morte in faccia a causa del contatto in volata — quasi 80 all’ora la velocità — a Katowice con Dylan Groenewege­n, il 5 agosto 2020 al Giro di Polonia: lo schianto contro le transenne, tre giorni in coma, il volto sfigurato, 80 punti di sutura solo al palato. Andiamo a ripescare quanto detto dalla fidanzata Delore: «Fabio aveva la faccia rettangola­re, ho riconosciu­to solo le sopraccigl­ia. Aveva la testa rasata e una cannula gli usciva dal cervello. Era senza dieci denti, senza palato, senza gran parte della mascella, potevo guardare dentro di lui attraverso ciò che era rimasto del suo naso». Il resto è la storia di un recupero alimentato da una sovrannatu­rale forza di volontà e iniziato dai 10 minuti per dare un solo morso alla prima pizza fino al ritorno in gruppo quattro mesi fa al Giro di Turchia. Jakobsen era già tornato al successo - il 21 e 24 luglio, due tappe al Giro di Vallonia — ma è chiaro che andare a segno in un grande giro (alla Vuelta gli era già capitato in due occasioni nel 2019) ha tutto un altro sapore. «Per me era già un sogno essere al via — ha detto lo sprinter della Deceuninck-Quick Step —. Pensavo ai dottori in Polonia, a quando parlavano con la mia famiglia, con la squadra. Questa vittoria è per loro. Nessuno sa che cosa succederà nei prossimi giorni, così penso a godermi questo momento». Alle sue spalle sono finiti Demare e Cort, mentre il tentativo di Sacha Modolo di anticipare la volata non è andato a buon fine. Tre gli italiani nei primi dieci: Dainese quarto, Trentin ottavo, Minali decimo. La classifica generale non ha subito scossoni, con Rein Taaramae sempre in maglia rossa nonostante una caduta nel finale: ma mancavano meno di 3 chilometri al traguardo, dunque gli effetti sono stati neutralizz­ati. «Solo un colpo, ma niente di grave. Confido di poter tenere il comando ancora per un paio di giorni», ha detto l’estone, che lunedì al Picòn Blanco era tornato al successo nel World Tour cinque anni dopo la gioia di Sant’Anna di Vinadio al Giro d’Italia 2016.

Post La felicità di Jakobsen ha tenuto banco anche nel dopotappa, e ha spopolato in particolar­e un video in cui si vede come gli abbiano passato il nonno al telefono nel corso delle premiazion­i. La felicità di un intero gruppo, visto che la Deceuninck-Quick Step in questa stagione come al solito è il team più vittorioso a quota 48, più 18 sulla Jumbo-Visma (30), seconda. Anche se i numeri spiegano poco o nulla di una storia come quella di Jakobsen. Quando si era risvegliat­o dopo il coma, si era reso conto di non poter parlare perché aveva un tubo nella trachea. «Ho capito di essere in terapia intensiva e mi sono detto: “Non ti portano qui se ti sei solo rotto una gamba”», aveva raccontato. Non c’è da stupirsi che tutto il gruppo ieri abbia voluto abbracciar­lo, perché in Spagna non si è celebrata una semplice vittoria, ma il compimento di una resurrezio­ne.

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Rinato Fabio Jakobsen, 24, con la Deceuninck-Quick Step fino al 2023

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